Eccoci qui. Sono stata giorni interi a guardare le tue opere. Analizzando i lavori ho colto visioni post-nucleari, paesaggi industriali, maschere antigas, cassonetti di rifiuti, ciminiere fumanti in cieli grigi e bambole-cyborg ibride. Un contesto post-human, quasi una rappresentazione del delirio antropocentrico che subiamo oggi giorno. Come nasce l’idea di quella che tu definisci Trip Art?
"Tutto ciò che richiama il punk, il cyberpunk , l’underground e le immaginicatastrofiche mi ispira, in particolar modo i bidoni della spazzatura, i paesaggi urbani, la realtà industriale che circonda le grandi metropoli con le loro ciminiere che rigurgitano veleni. I personaggi in maschera antigas, che dipingo spesso, sono immersi in un post-atomico spazio-non spazio. Sono sempre alla continua ricerca di immagini da rivisitare ed esasperare con colori acidi! Definisco “Trip Art” il mio linguaggio non solo perché inteso come una visione distorta ed artificiale della realtà, dovuta ad una sorta di “viaggio lisergico” causato da allucinosi nubi tossiche, ma anche come viaggio vero e proprio nella tela, alla scoperta sempre di nuove cromie."

E’ interessante l’esperienza del viaggio. Una cosa è certa: tutti amiamo viaggiare, anche solo con la fantasia. E qual è il messaggio di questo itinerario artistico che proponi?
"Le mie opere indubbiamente riportano la mente a scenari apocalittici che non lasciano presagire nulla di buono e a scottanti temi sociali come l’inquinamento e il problema dello smaltimento dei rifiuti. Da anni il nostro paese, specialmente Napoli, è attanagliato da questi problemi…non ultima la “terra dei fuochi”, argomento che purtroppo di recente va tanto di moda! Il mio messaggio, anche se non è concettualmente mia intenzione mandare messaggi attraverso la pittura, è inerente comunque ad una sorta di “The Day After” che causa sconclusionate mutazioni di tutto ciò che ci circonda, sia nelle forme che nei colori. Una fiaba post-nucleare dove anche carri armati giocattolo, robottini, trenini e aeroplanini sono vere e proprie biomacchine da guerra."

Dunque, la tua arte segue due filoni: da un lato ci sono gli oggetti e i paesaggi e dall’altro le donne post-umane. Soffermiamoci un attimo sulla seconda tematica. Nel 1991 Donna Haraway definisce il corpo: né fisico, né testuale, né organico ma crea un miscuglio vivente e tecnologico. Le tue bambole, se così vogliamo definirle, sono molto sexy e presentano uno stile quasi porno e sadomaso. Come nasce questa rappresentazione?
"Il filone dei paesaggi e quello delle figure femminili si sviluppano in direzioni parallele e possono apparire un tantino diversi, ma legano entrambi in quanto concepiti come una sorta di ologrammi. Le donne sono come bambole ad uso e consumo di un pubblico voyeuristico, sex-cyborg e programmate per il piacere. Eccessive nel loro essere carne-lattice. L’estetica, per così dire, porno-fetish mi ha sempre attratto in quanto reputo si sposi perfettamente con i miei colori che richiamano anche un po’ le luci fluo caramellate del pop porno, tipico da sexy shop. Creste colorate tipiche delle sgargianti mode punk, i richiami al goth-dark , le borchie, gli spilloni da balia e i piercing, che profanano la carne, rappresentano l’aspetto erotico delle mie visioni femminili. In particolare, il latex tende a fondersi con i loro corpi conferendogli artificialità e plasticità, rendendoli oggetti del piacere “sintetico-feticista”."

Bambola-Ologramma_gennaro cilento

Interessante il colore come luci fluo caramellate. Sai, il termine Trip l’ho trovato geniale perché, appunto, i livelli cromatici dei tuoi dipinti non passano inosservati! Anzi. Si entra in un vero e proprio vortice luminoso: colori accesi e minimali. A me è sembrato di essere inondata dalle luci dei cartelli pubblicitari di marketing e del consumismo odierno. Che rapporto c’è tra il colore e la materia?
"Nelle mie opere il colore la fa da padrone ma non soffoca le forme che sono risultante e contenitore di esso, delle sue svariate sfumature. Tu fai riferimento alle luci dei cartelloni pubblicitari e di marketing e la tua sensazione è in un certo qual modo riconducibile alla mia arte in quanto alcune delle mie prime opere, quelle delle figure amorfe e degli elettrodomestici un po’ si ispiravano a tutto ciò. L’ispirazione alla cartellonistica pubblicitaria c’era, però in una maniera, per così dire, un po’ naif! L’oggetto era posto di solito su un contrastante fondo fluorescente piatto, con delle scritte inventate che richiamavano la divulgazione. In seguito gli elettrodomestici si sono per così dire evoluti in macchine fantastiche che si sono ambientate man mano in “festosi” scenari apocalittici (eruzioni vulcaniche, esplosioni industriali) e il colore ha ricoperto un ruolo sempre più fondamentale ma senza mai totalmente invadere o sostituire le forme, soprattutto quelle che appaiono in primo piano. In ogni caso vortici luminosi e spirali sono un “leitmotiv” del lavoro che porto avanti da sempre, sono come dire un po’ il “fulcro psichedelico” del mio linguaggio."

Un curriculum davvero vasto: Hai lavorato a Roma, Milano e Londra. In particolare, nella nostra capitale, in occasione della mostra inerente al Talent Prize 2011 (Museo Centrale Montemartini), hai ricevuto il Premio Speciale Fondazione Roma. Inoltre, nel giugno scorso, hai partecipato alla Mostra IncontrArti, all’interno delle Proposte del premio Vasto (Scuderie di Palazzo Aragona). Sei proprio un artista completo! Tu dipingi, ti dedichi alla scultura, crei istallazioni e video art. In che modo coniughi questi talenti e cosa ne pensi degli happening che nel 1963 hanno invaso il mondo dell’arte?
"Coniugo il tutto sempre adottando lo stesso linguaggio o comunque se si tratta di un’installazione o di un video, dove non si può intervenire manualmente, cerco di non tralasciare mai il concetto base della mia poetica. E’ come possedere un paio di occhiali che indossandoli mi permettono di vedere tutto mutato secondo il mio stile. Per quanto riguarda l’happening , lo considero una forma d’arte sostanzialmente di matrice molto concettuale, per certi versi innovativo, soprattutto per l’epoca in cui si diffuse, ma credo anche che certi addetti ai lavori ne hanno un po’ troppo abusato, sinceramente, innalzandolo su un piedistallo. L’happening tende a svincolare il pubblico dal ruolo di fruitore passivo ed in alcuni casi addirittura lo coinvolge, promuovendo per lo più il mutevole e il performativo incarnando spesso valori in antitesi a quelli caratterizzanti l’universo delle “belle arti”. Per tutto ciò tanto di cappello essendo sempre un’espressione artistica ma chi la considera superiore alle altre espressioni solo perché offre in primis il concettuale o la considera ancora oggi innovativa o di rottura, sbaglia. L’happening è una forma d’arte pari a tutte le altre!"

Ornella Cotena (dal MURO MAGAZINE Curatrice Lea Ficca, 2013)

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