Commenti sull'opera Omaggio ai Tubisti (Aisi 304):

Dimensioni diverse che senza farlo apposta si incontrano per un tratto.... questo è ciò che mi fa pensare!


postato da Paolanatalia58 - lunedì 05 ottobre 2009 alle ore 22:12

www.libreriauniversitaria.it/libri-autore_davanzo+sergio-sergio_davanzo.htm

 


postato da Sergio Davanzo - martedì 06 ottobre 2009 alle ore 09:05

Quet'opera l'avrei votata un paio di volte. Io non sono specialista dell'inox ma l'immagine che mi ispira è quella del coils. Non vorrei sembrare mono-tono ma ti rinnovo i miei complimenti. Ciao G.Z.


postato da Zanussi - martedì 06 ottobre 2009 alle ore 12:08

complimenti!sai variare anche nel cromatismo da vero professionista


postato da Américo Di Gregorio - mercoledì 07 ottobre 2009 alle ore 15:34

Per "TUBISTA" non intendo quello descritto dall'articolo di Luca Rigamondi.

"Quindicina" e timore del tubista
Così si viveva nelle case chiuse
Vietato servire cibi e bevande, vietato suonare e cantare, vietato aprire le persiane, le case di tolleranza erano state concepite dalle due leggi che le avevano istituite prima e riorganizzate poi - nel 1860 e nel 1888 - come luoghi di "passaggio" del sesso a pagamento: entrare, consumare, uscire. Anche per questo, probabilmente, nell'immaginario collettivo sono sempre rimaste luoghi quasi mitici, dove si respirava sempre e comunque un'atmosfera di peccaminosa lussuria. Ovviamente per questo erano nate e si erano sviluppate, ma il mito si fondava anche sull'alone di mistero che circondava questi luoghi. Dove, invece, la vita era regolata da ritmi rigidi e sempre uguali, e dove circolavano personaggi di ogni genere, ognuno indicato con il proprio soprannome.


C'erano i "flanellisti", cioè coloro che andavano nei bordelli solo per guardarsi in giro, per respirare l'atmosfera, per guardare le ragazze di sottecchi, per sentirsi parte di un mondo che, il più delle volte, poteva solo sognare e non permettersi. Ma c'era anche chi usava il salone della maison come fosse una biblioteca: molto spesso, infatti, gli universitari andavano proprio lì per preparare in pace e tranquillità gli esami, e i militari per garantirsi un posto caldo dove stare seduti. E una regola non scritta dei postriboli era che, nonostante i flanellisti abituali non fossero ben visti dalla maitresse, dovevano essere trattati con ogni riguardo.

Poi c'erano quelli che andavano al bordello solo per parlare con una ragazza: i "parlanti", che con la prostituta di turno sfogavano i propri sentimenti repressi, e i "teneroni", che cercavano orecchie sulle quali riversare la storia delle proprie disgrazie. E poi i "ciceri", che invece miravano a far parlare le ragazze, a sapere la loro storia, a capire perché avevano scelto di far quel mestiere. Tutti "tipi" particolarmente disprezzati, questi: nelle case di tolleranza, infatti, per ottenere il rispetto delle ragazze bisognava dimostrare la propria virilità, e quindi consumare invece di blaterare.

Naturalmente avevano un soprannome anche coloro che nelle case chiuse andavano non per fare sesso con una ragazza ma per dar sfogo alle proprie devianze: i "guardoni", che affittavano un buco dal quale spiare ciò che accadeva in una stanza, e i "sottomarini", che compravano il diritto di stendersi sotto il letto di una delle ragazze per assistere all'amplesso.

Un soprannome aveva anche il medico inviato periodicamente dalle autorità per la visita ginecologica: veniva chiamato "tubista" (il perché è facilmente intuibile) ed era particolarmente temuto. Quando trovava una ragazza infetta da una malattia venerea, infatti, il medico aveva l'obbligo di comunicarlo sia alla tenutaria sia alle autorità, e la malcapitata veniva sospesa a tempo indeterminato dal "servizio". Ovviamente senza stipendio, perché le ragazze, nei bordelli,lavoravano a cottimo: tante prestazioni, tanti soldi ricevuti dalla maitresse, che generalmente tratteneva il 50% per coprire le spese di mantenimento e di struttura.

Il rito prevedeva che gli uomini, giunti nel salone, guardassero per un po' le ragazze, poi scegliessero quella che li attirava di più e a quel punto passassero alla cassa per comprare la "marchetta", il gettone che dava diritto ad ottenere la prestazione. Dopo aver scelto, il cliente consegnava la marchetta alla prostituta, che lo portava in camera per consumare.

Una "pensionante", mediamente, riusciva a fare 30-40 marchette al giorno: le ragazze, insomma, guadagnavano piuttosto bene. Nel 1888, anno della revisione delle tariffe con la legge Crispi, ad esempio, una marchetta costava 1 lira. Significa che ogni giorno una ragazza poteva guadagnare anche 40 lire, e pur dovendone dare metà alla tenutaria della casa gliene restavano pur sempre 20: un patrimonio, rispetto alle 3 lire di stipendio giornaliero di un operaio.

Le ragazze, che avevano tutte un nome d'arte e facevano carriera non tanto grazie alla prestanza fisica quanto alle capacità professionali, potevano restare in un postribolo al massimo per quindici giorni, dopodiché dovevano trovarsi una sistemazione in un postribolo di un'altra città: ogni "scaglione" di pensionanti veniva per questo chiamato "quindicina", e i frequentatori abituali delle case chiuse attendevano con ansia l'arrivo del nuovo "turno", sperando che tra le ragazze ci fosse anche quella in particolare sulla quale erano giunte voci favorevoli provenienti da altre città d'Italia. Si trattava di un metodo per evitare che i clienti si innamorassero delle ragazze frequentandole troppo a lungo, ma anche per far offire in tutte le città d'Italia le grazie di ogni "pensionante". Ufficialmente ogni ragazza doveva arrangiarsi per trovare la prossima casa di tolleranza nella quale soggiornare per i successivi 15 giorni; in realtà esisteva una figura, chiamata "collocatore", che a tutti gli effetti era il "manager" delle singole ragazze: un antesignano del moderno protettore, insomma, al quale spettava l'incombenza di far fruttare al massimo le doti della sua protetta. E si trattava di un mercato particolarmente fiorente: negli ultimi anni di vita delle case chiuse, bastava collocare una sola ragazza per poter vivere di rendita.

Luca Rigamondi
 


postato da Sergio Davanzo - venerdì 09 ottobre 2009 alle ore 19:20

stores.lulu.com/sergio1davanzo


postato da Sergio Davanzo - venerdì 09 ottobre 2009 alle ore 23:36

Il Suprematismo è un movimento artistico russo creato dal pittore Kazimir Malevic intorno al 1913 e teorizzato dapprima sul manifesto dal 1915 (scritto da Malevic in collaborazione con il poeta Majakovskij), poi nel suo saggio del 1920 Il suprematismo, ovvero il mondo della non rappresentazione. Il Suprematismo fu presentato pubblicamente per la prima volta a Pietrogrado nel 1915, in occasione della mostra: "Seconda esposizione futurista di quadri 0,10 (Zero-dieci).

Malevic sosteneva che l'artista moderno doveva guardare a un'arte finalmente liberata da fini pratici e estetici e lavorare soltanto assecondando una pura sensibilità plastica. Sosteneva quindi che la pittura fino a quel momento non fosse stata altro che la rappresentazione estetica della realtà e che invece il fine dell'artista doveva essere quello di ricercare un percorso che conducesse all'essenza dell'arte: all'arte fine a se stessa.

La parola suprematismo deriva dal pensiero dell'autore: secondo Malevic infatti l'arte astratta sarebbe superiore a quella figurativa dato che, anche se noi in un quadro figurativo vediamo un qualsiasi oggetto o forma vivente, sull'opera non c'è che un solo elemento: il colore, che viene espresso in modo migliore su un dipinto astratto.

Il suprematismo resta legato essenzialmente al nome del suo iniziatore, anche se i riflessi della sua poetica vanno al di là dei dipinti e modelli architettonici dell'artista, pone le basi per l'astrazione radicale.
 

images.google.com/images


postato da Sergio Davanzo - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 14:05

Il rifiuto del concetto di imitazione della natura comportò il superamento delle forme illusorie in vista dell’ottenimento del"nulla liberato", del mondo non oggettivo al di là del tempo e dello spazio sensoriale.
Con il dipinto "Quadrato nero su fondo bianco" (1915) Malevic. diede il primo progetto di riconoscimento di alcune "forme assolute", libere da ogni descrizione naturalistica.
Nel 1917 in pieno periodo rivoluzionario l’artista realizzò una seconda opera: "Quadrato bianco su fondo nero", esposta a San Pietroburgo alla mostra "0,10" allestita nella galleria Dobycina. Infine, nel 1919 con l’opera “Quadrato bianco su fondo bianco” l'artista giunse all’azzeramento dei monocromi.
Nell’atmosfera tardo-romantica dell’epoca, l’opera di Malevic rappresentò una novità assoluta, la prima irruzione dell'astrattismo puro nella cultura russa, in termini di un rigore assoluto che resterà insuperato.
Intorno al 1920 il movimento si confrontò proficuamente con l'altra grande articolazione dell'astrattismo, il costruttivismo, accanto a quello lirico di Kandinskij e a quello cosidetto neoplastico di De Stijl ( dal nome della rivista fondata a Leida in Olanda nel 1917 da Th. Van Doesburg, attorno alla quale si raccolsero un gruppo di artisti ed architetti che diedero vita all’omonimo movimento).
Il suprematismo, che annoverò tra i suoi esponenti anche El Lissitskij e Aleksandr Rodcenko, ebbe anche una forte componente filosofica. Secondo il suo ideatore tutto il mondo dei sensi, tutto lo spazio, tutto l'universo nel suo evolversi, si inabissa e riemerge, si scompone e si ricompone in un incessante divenire. Ogni processo di elaborazione del lavoro artistico, ad esclusione di tutto ciò che in arte e' gia stato creato,dovrebbe partire dal suprematismo. Forme minime, lineari e geometriche sono il lastricato della nuova strada da seguire, con la guida dell'intelligenza e la forza della ragione


postato da Sergio Davanzo - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 14:09

Io che ho alle mie dipendenze un centinaio di operai tubisti penso di capire questa opera d'arte più di altri. COMPLIMENTI!


postato da Puster - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 14:25

"Secondo il suo ideatore tutto il mondo dei sensi, tutto lo spazio, tutto l'universo nel suo evolversi, si inabissa e riemerge, si scompone e si ricompone in un incessante divenire."

Ora ho capito: molto bello!


postato da Liza - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 15:03

E' un'opera molto bella e molto complessa nonostante si offra con semplicità. Grande effetto cromatico supportato da uno spirito mai domo. Complimenti!


postato da Alex Lavaroni - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 17:23

Immagino che questi "dischi" diventeranno famosi come quelli di Vedova del periodo berlinese. Io sto pensando concretamente di poter possederne uno. Sarà mai possibile? Grazie per una risposta anche in forma privata.


postato da Arman - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 17:29

Io, al momento (mi sto laureando in ingegneria), sono un operaio tubista! GRAZIE!!!


postato da Vanni - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 17:51

Grazie a tutti per i vostri commenti e colgo l'occasione di rispondere ad Arman: Al momento non vorrei privarmi della serie "Tubisti", in futuro ti contatterò, grazie.


postato da Sergio Davanzo - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 17:55

Bellissimo questo Sergio!


postato da Accabi - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 19:09

Mi piace molto questo omaggio ai tubisti.


postato da Walter Leone - domenica 11 ottobre 2009 alle ore 12:21

Questi dischi sono veramente interessanti catturano lo sguardo.


postato da Vince - domenica 11 ottobre 2009 alle ore 12:34

bellissima composizione. Molto bella tutta la tua serie tubisti!


postato da Gradnik Miro - domenica 11 ottobre 2009 alle ore 12:53

E' decisamente molto bello; non mi stanco di osservarlo. A tratti mi sembra che i dischi si muovano.


postato da Rotcko - domenica 11 ottobre 2009 alle ore 22:33

Devresti portarla da noi questa serie di "Omaggio ai tubisti". Possiamo organizzare anche un "reading" con "il Delinquente"


postato da Circolo Vecchia Quercia - lunedì 12 ottobre 2009 alle ore 18:25

Io credo che non ci siano schemi fissi-
 

Il rapporto con le cose e gli avvenimenti che ci circondano con le sue proiezioni sul futuro, l'artista lo traduce secondo le proprie necessità. Quando anche la denuncia diventa una bufala solo per la visibilità o tendenza, l'artista dovrebbe osservare in primis, cosa realmente 'manca' al tessuto sociale e, se sono le forze primigenie quelle che sono venute a mancare, cerca il recupero attraverso alla propria sensibilità e non gliene può importar di meno delle correnti o la ricerca di tendenza.

Le ricerche le esegue sulla base della propria sensibilità ed esigenza. Sicuramente ha il coraggio anche di andare contro tendenza perché non è detto che quello che serviva in una certa epoca anche in termini di provocazione, possa servire in un'altra, dove tutto , anche la provocazione è diventata strumentale al profitto. Non ho mai visto artisti di popoli repressi esprimersi solo sulla denuncia , ma sicuramente più spesso attraverso il sogno o alle proprie esigenze interiori , unica forma di libertà ancora gestibile : il proprio mondo interiore e le proprie visioni da contrapporre ad un mondo a cui tutto questo è stato negato.

La vera trasgressività dell'artista contemporaneo è il recupero di se stesso e di tutto ciò si è fatto scempio, poetica compresa.

Va da sé che, forse oggi, gli artisti più credibili in toto rimangono i bambini con queste caratteristiche
e gli artisti 'out'.

I primi con un vissuto troppo corto per essere definiti tali in maniera completa e gli altri, emarginati in quanto veramente 'liberi' e quindi non commerciabili e strumentalizzabili, se mai schiavi solo delle loro ossessioni, ma sicuramente non, rispetto alla loro libertà espressiva

Io credo non ci siano confini nell'arte : purché sia arte .

Ognuno usa il veicolo espressivo che più gli è congeniale. Considerando che questo ioArte è interessante proprio per i quesiti che pone per i confronti che dovrebbero arricchire proprio per le diversità di pensiero e non certo per polemica sterile (sempre meglio chiarire nel virtuale:). Credo che, chi usa la materia proprio come "piacere" della materia nella sua fisicità e il "colore" come impasto proprio per ottenere determinate vibrazioni cromatiche, difficilmente userà mai un pantone digitale se la sua ricerca ed esigenza si esprime con quelle caratteristiche ...

Uno può darsi al digitale per altri aspetti altrettanto intriganti, ma sicuramente diversi. Come non credo che sia un 'espressione nuova né la pittura né il digitale anche perché quest'ultimo si usura più velocemente nei programmi che vengono sostituiti con la velocità della luce.

Per quanto riguarda le diverse culture ben vengano, ma ho il sospetto che una cultura che si sviluppa da noi o in Spagna, in America in Bielorussia, Russia o nella profonda Africa , per quanto si facciano contaminare ,non dobbiamo dimenticare che ognuna di loro ha radici profondamente diverse che non si possono sostituire o dimenticare.

 

Dovrebbe essere anche significativo , quanto ci portiamo dentro radici, gusti e quant'altro che ci influenzano nella scelta delle preferenze.
Di solito i lavori preferiti sono quelli che corrispondono ai nostri canoni estetici e di gusto personale, cosa che in arte non dovrebbe mai succedere.

In maniera istintiva può piacere di più un lavoro simile ai nostri gusti personali, ma l'arte potrebbe anche trovarsi in opere che come gusto non rientrano nelle nostre preferenze, ma sicuramente in canoni artistici. Ho la sensazione che questo sia uno sbaglio che facciamo un po' tutti....sia ' perché viene naturale e perché, a volte .dimostra anche quanto siamo presi da noi stessi, senza riuscire ad entrare umilmente nei lavori di altri.
Con tutto il pieno rispetto, per chi fà figurativo "classico"..secondo il mio modesto parere,il massimo per esprimere "il senso della vita, lo stato delle cose, il divenire dell'uomo, oggi", è l'informale, il materico, il figurativo "essenziale" ....usando la materia....tutta la materia,lo scarto, si può rappresentare, ...cosa meglio di un vecchio cartone ingiallito dal tempo, gettato per strada, indifferente a chiunque, può rappresentare la situazione di molti esseri umani del nostro pianeta..non importa se nell'opera non esiste una smorfia sul volto o le mani che sorreggono uno sguardo vuoto....basta vedere quei "rifiuti" per strada...per capire dove è arrivato l'uomo...in un mondo in cui tutto si può abbandonare, distuggere....tanto si "rifà"...no!, si stanno spengendo i valori, i sentimenti, che valgono più dell'oro, giallo o nero che sia....scusate se mi esprimo in questo modo, forse sembrerò arrogante, ma chi mi conosce dal vero...sa che non lo sono...sono solo sanguigno...sincero..."ignorante" artisticamente parlando...ma UOMO!! inteso naturalmente come essere umano...ciao a tutti


 


postato da Sergio Davanzo - martedì 13 ottobre 2009 alle ore 11:13

Lunedì alle sette cinquanta

Lunedì alle sette cinquanta
tra il bollettario e l'officina
il treno scuote.
Lunedì alle sette cinquanta
con la voglia di caffè
andare in spogliatoio
togliere la camicia
appenderla
ed in stipetto vestire un altro.
Con il fumo tra i denti
con il volantino in tasca
con il ricordo della notte
buttarsi
nell'odore dell'officina.
Infilare i guanti
aspettare che l'unto aggredisca le dita
e stringere la lunga ringhiera di bordo.
Nell'aria dei rumori
nell'aria senza parole
sono lo 04715

 


postato da Sergio Davanzo - martedì 13 ottobre 2009 alle ore 11:58

Lo scalo

Camminano uomini
camminano pezzi di uomini
uno scivola
uno osserva
uno urla
lo scalo è una fredda musica di lame.
Risuonano navi
di ferri neri
di ferri rossi
di ferri che cercano ancora il mare,
letti di gatti nell'ombra
ruggine
voli di gabbiani.
Maschere fondono
nel lungo gioco del fare e sfare.
Cartocci di latte
è autunno
quattro pale d'elica ferme

 


postato da Sergio Davanzo - martedì 13 ottobre 2009 alle ore 14:25

Varo

Tace di assenza
e subito vibra nei suoi nervi e scorre
di più, sempre di più
precipita
si esalta di velocità
per esplodere nel sangue
delle nostre mani
che l'hanno impastata
finalmente
nave.
 


postato da Sergio Davanzo - lunedì 19 ottobre 2009 alle ore 09:34

...c'è poesia ovunque per gli occhi che san coglierla. In quest'opera guardo l'universo e mi sembra, in fondo, di aver sempre saputo com'è fatto.

Grande!


postato da Giorgia Lubian - mercoledì 21 ottobre 2009 alle ore 17:43

Sergio Davanzo. Esprime con forza i propri pensieri. Coccola con tenerezza i propri sogni. Ti mostra parti insospettate e inattese di sè, a volte svelandole per gradi, a volte ostentandole all’improvviso, provocando, beffardo. Davanzo dipinge. Una combinazione irrisolta di motivazioni lo spingono ogni volta. Per bisogno. Per voglia. Per gioco. Per dovere. Molti dei suoi quadri sono figli di una forte necessità comunicativa. La necessità di trascendere i limiti delle parole, delle dimensioni spazio-temporali, delle forme codificate, creandone di nuove, più belle, più intense, e dare così rinnovata voce a pensieri profondi, complessi. Ci sono poi i lavori che nascono dal semplice desiderio di lasciarsi andare alla più poetica evocazione di immagini e suggestioni viste e vissute. Essa sfocia poi nella compiaciuta ricerca di complicità di chi guarda e prova, e sente, e, sentendo, rivive. Il risultato è una sorprendente gamma di aperture e contaminazioni sinestetiche, cromatiche e materiche. Nel modus operandi di questo artista spesso un pensiero diventa tematica. Si espande. Definisce in maniera autonoma e prepotente i propri leit motive. Li varia, li allarga, li propone nelle più accattivanti sfumature, per poi gonfiarsi al massimo e, finalmente esplodere, esausto. Finito. Risolto. Perciò i quadri di Sergio sono per lo più contestualizzabili in gruppi. seguono cioè un filone comune fino a prosciugarlo. A volte però l’artista dalla conclusione di una linea ispirativa ne ha già tratte diverse altre. A volte lascia passare del tempo prima di permettere a nuovi tratti di catturare il suo istinto. E il suo pennello. Questo è Sergio Davanzo che dipinge. I suoi soggetti sono vari, disparati. Molto vuole raccontare. I volti, le voci del passato e del presente, i luoghi che lo hanno visto iniziare il suo percorso di uomo e di artista. Il cane. La famiglia. Coloro che se ne sono andati, coloro che verranno. Una ruga sulla fronte. Il sibilo di un tornio in officina. Un caleidoscopio minimalista di immagini, momenti epifanici, che sergio trasporta su tela. Che, se necessario, trasporta, come è solito dire “nello spazio”. E sicuramente i titoli creativi e fantasiosi che Sergio Davanzo affianca ai dipinti, fanno parte di questo modo semiserio di vivere e concepire le proprie necessità. Deliziosi, spesso fortemente ironici, stupiscono, per poi lasciarti addosso una scia di riflessione, che ti stuzzica come l’aroma del rum nel gusto di un dolce appena sfornato. Di cui Sergio, provetto “chef de rangue”, ha scritto e realizzato la ricetta apposta per te.


postato da Sole - giovedì 22 ottobre 2009 alle ore 12:39

Bellissimo questo pezzo di "cosmo - cantiere"!


postato da Principe - lunedì 26 ottobre 2009 alle ore 18:56

E' un Cosmo (concordo con gli altri) stupendo...ma i tubisti?


postato da Mabo - lunedì 26 ottobre 2009 alle ore 19:29

Mi intriga molto ma devo studiarlo....


postato da Berta - giovedì 29 ottobre 2009 alle ore 18:36

Veramente bella questa composizione!


postato da 8 - lunedì 23 novembre 2009 alle ore 18:50

...anche dal punto di vista cromatico.


postato da 8 - lunedì 23 novembre 2009 alle ore 18:50

His name is Sergio Davanzo. Strong in expressing his thoughts but tender in cuddling his dreams, he shows you unsuspected and unexpected aspects of his inner self. Sometimes he reveals them slowly, step by step; sometimes he shows them off abruptly, with a touch of challenging scoff. He paints. He paints because of an unsolved mixture of reasons. He paints because he needs to. Because he wants to. He paints to play. He paints because he has to paint.

Several of his works are the product of a deep need to communicate. The need to go beyond the limits of human words, beyond time and space, beyond conventional shapes with the aim of creating new and better ones, more intensely beautiful, giving thus voice to his inner and more complex thoughts.

Other works issue from Davanzo’s mere, instinctive wish to let himself go to the poetical evocation of images and feelings he has seen and lived. This inevitably pursues the connivance of his spectators, who can see and perceive his same sensations, deeply feel them and, by feeling, revive them. The result is an amazing range of ways and synaesthetical contaminations, both of colour and matter.

In Davanzo’s modus operandi often a single idea develops into a theme. It expands itself, defining autonomously its own leit motives. They are varied and widened, offered in their most flattering nuances. The original idea then swells to its utmost and, finally exhausted, it blows up. It is a definite resolution. Therefore Davanzo’s works, which follow a common vein until it is exhausted, can mainly be contextualized in groups. But, once he has finished with a vein of inspiration, sometimes the painter has already found in its ashes the beginning of several new ones. Sometimes he would rather wait before letting them catch his instinct and his paint-brush.

This is the process of painting for Sergio Davanzo. His subjects are various and different. He wants to tell as much as possible. The faces, the voices of past and present time, the places which have seen him growing both as a man and as an artist. His dog. His family. Those who have gone. Those who still have to come. A wrinkle on a forehead. The hissing of a lathe in a work shop. A minimal kaleidoscope of images, epiphanic moments which he fixes on his canvas. And which, if necessary, he moves, as he usually says “to the space”.

Certainly the imaginative titles he gives to his paintings are part of his seriocomic way of living and conceiving one’s necessities. They are delicious, often sharply ironic, and at first they astonish you, to let you eventually deal with a wake of reflection, whetting you as the back-taste of rum in a just baked cake, the recipe for which has been written and performed by Sergio Davanzo just for you.

Prof dott Maria Sole Politti
 


postato da Sergio Davanzo - lunedì 23 novembre 2009 alle ore 19:38

"Le tele di Davanzo vibrano, si impongono con lo stridore delle pennellate, con le barricate cromatiche da cui fuoriescono filamenti elettrici che guizzano e avvolgono, creando una fitta e mutevole rete di energia. Nelle sue opere istinto e ragione rinunciano all'eterna lotta, per dar vita ad un dialogo serrato: il colore si tende nella spontaneità del gesto, si difende entro grumi di materia, si assottiglia ed incede leggero frammentandosi secondo ritmi musicali. Viene impastoiato, fatto fluire e nuovamente convogliato, cristallizzato e gocciolato, alleggerito e spinto oltre i confini del supporto per cercare nuove espressioni comunicative."

Prof. Lorella Coloni
 


postato da Sergio Davanzo - lunedì 23 novembre 2009 alle ore 19:45

" Las lonas de Davanzo envían vibraciones. Ellos se imponen con el chillar del golpes de pincel, con las barricadas cromáticas de lo cual evitan filamentos eléctricos que tiemblan y ellos enrollan la creación de un dolor agudo y la red mutable de energía. En su instinto de trabajos y razón abdican la lucha eterna para dar la vida a un diálogo cerrado: el color se extiende en la espontaneidad del gesto, esto se defiende en los grupos de material, esto cultiva incede delgado(fino) y ligero(de luz) la fragmentación sí mismo según ritmos musicales. Es encadenado, hecho para fluir y otra vez llevado, cristalizado y goteó, aliviado e inclinó sobre los confinamientos del apoyo a buscar nuevas expresiones comunicativas. "

Prof Lorella Coloni
 


postato da Sergio Davanzo - lunedì 23 novembre 2009 alle ore 19:53

C’è una prometeica forza nelle opere di Sergio Davanzo che riconduce, con la certezza del segno e lo schiaffo del colore, ad un confronto con la realtà che non conosce compromessi o debolezze.
L’artista non abbassa lo sguardo e davanti all’esistenza egli si assume il diritto di dichiarare la verità. Lo fa attraverso un linguaggio visivo essenziale, sintetico, corrosivo, violento, titanico, provocatore. Usa la titolazione dei suoi quadri come dei tazebao: sono verdetti che illuminano, parole che possono essere incipit quanto sentenza lapidaria su un argomento che la tela sintetizza in linee di immediata intuizione, con un uso dirompente dell’elemento cromatico, con tinte che acquistano voce. Davanzo riesce a far riecheggiare nel movimento dei suoi quadri le vibranti intensità del paradosso creativo, in bilico tra ragione e gesto puro ed istintivo, folgorazioni che sono rivelazioni e universalità
 

Prof Fabio Favretto
 


postato da Sergio Davanzo - lunedì 23 novembre 2009 alle ore 23:59

Questa tua serie di omaggio ai tubisti è decisamente molto ben riuscita.


postato da 8 - mercoledì 25 novembre 2009 alle ore 12:23

Evidentemente sei “amante dei paradossi”!  tale amore del paradosso mantiene la tua coscienza in contatto con le tue proprie radici”.


postato da Mia Roiter - sabato 20 novembre 2010 alle ore 14:36

Molto bello: La classe operaia va in paradiso....


postato da Gio4x4fra - martedì 30 novembre 2010 alle ore 13:07

il fine dell'artista dove essere quello di ricercare un percorso che conduca all'essenza dell'arte. A mio parere ci sei riuscito.


postato da Pony - giovedì 02 dicembre 2010 alle ore 15:11

BRAVO 


postato da Giovanna Candida - martedì 18 gennaio 2011 alle ore 11:07

Bellissimo, veramente. Complimenti anche per l'originalità!


postato da Berta - domenica 31 luglio 2011 alle ore 19:50

mi piace moltissimo la "spazialità" di questo suo lavoro.


postato da Cesare - giovedì 18 agosto 2011 alle ore 12:56

 nolto molto bello! no amo particolamente il genere ma questo tuo quadro è davvero bello! complimenti :)


postato da Claudio Costa - mercoledì 16 novembre 2011 alle ore 10:10

 Grazie a tutti per i commenti!


postato da Sergio Davanzo - mercoledì 09 gennaio 2013 alle ore 14:08

 bravissimo....ho intenzione di darmi all'astratto!

 


postato da Floriana Pace - martedì 19 marzo 2013 alle ore 19:26

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Tutte le opere di Sergio Davanzo

  • Calendario 2013
  • Ho dato fondo (parziale)
  • feelings & feelings (frammento)
  • Omaggio ai tubisti
  • Strada di Bagdad con mimosa
  • Manhattan vista dal Bronx
  • volo radente
  • Tributo a Gaudì (frammento)(vedere il link postato nei commenti)
  • KRAKEN
  • Omaggio ai Tubisti (Pressfitting) alias "Quando Dio spartiva le tette...io ero in bagno..."
  • Non è la luce del Merisi...ma in tempi di crisi....
  • La mia vita è un lungo lato di Bolina! ( ...ci sarà mai un lato in poppa con tangone...& tanga?)
  • Il futuro è roseo, il presente...un po' meno...
  • Vedo smerciare miele di vipera, agito braccia di carta che il vento disperde.
  • Omaggio ai Tubisti (Aisi 304)
  • Il Delinquente (Lulu.com Editore)
  • CROSSING (Lulu.com editore)
  • Pensavo fossi morto....
  • LA MAFIA E' SOLAMENTE UN INSETTO: PUOI SCHIACCIARLA!
  • Questa è una società che macina tutti i valori!
  • Ciao
  • Cattredale Unica nello Spazio
  • Calendario 2010 Gennaio
  • Calendario 2010 Marzo
  • Calendario 2010 Ottobre
  • Calendario 2010 Dicembre
  • Calendario 2010 (Lulu.com) http://www.lulu.com/product/calendario/2010-by-sergio-davanzo/5949551
  • AUGURI....& che s'inizi ad intravvedere...il positivo!
  • Acqua Sporca
  • Solo Macchie?
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