Commenti sull'opera Pensavo fossi morto....:

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postato da Sergio Davanzo - martedì 06 ottobre 2009 alle ore 09:06

La nostra rivoluzione

Da notti sui libri
Della messa in collegio
Dal fumare in gabinetto
Dalla domenica con i genitori
Dal buco a spiare
Dietro la porta a sentire
È nata.
Nell’assemblea d’autunno
Nelle canzoni
Nei volantini
Nelle scritte sui muri
Nelle occupazioni
Nei baci sui muretti
È cresciuta.
Con le infiltrazioni
Con le delusioni
Senza modelli
Troppi si sono sciolti
È rimasta
L’ironia del folclore
La violenza dell’isolamento
La voglia di invecchiare.
La nostra rivolta era
Essere padri di noi stessi
Questa è altra cosa
E noi ancora figli
Muti
A guardare.


Sergio Davanzo 1977


postato da Sergio Davanzo - martedì 06 ottobre 2009 alle ore 17:34

Stralcio tratto da "Crossing" di Sergio Davanzo

" Oceano Pacifico Quinto giorno

 


Oggi è il primo, primo marzo. L’imminente attraversamento della “linea delle date”, ci regalerà l’esperienza di vivere due volte lo stesso giorno. Da dodici ore in anticipo su PMT (Panzano Meridan Time), passerò a dodici ore in ritardo. Mi scappa già da ridere pensando al fatto che dovrò convincere l’ufficio del personale in Cantiere, che io ho vissuto questo giorno due volte e che loro dovranno pagarmi la stessa giornata lavorativa due volte.
George, il cabin steward rumeno, è il primo al quale devo chiarire, su sua richiesta, il concetto. Nel momento in cui capisce che potrebbe incassare 90 dollari di tips in più, da non lui previste, fa un salto di felicità che rischia con la testa di rompere la testina dello sprinkler della mia cabina.
Per chiarire il concetto utilizzo un’arancia sulla quale con il pennarello ho tracciato una linea. Penso anche che farei bene a portarmela appresso per l’intera giornata, questa mia terra arancione.
Prudencia, l’assistente bar tender giamaicana del Nettuno, bar nell’area Magrodome, piscina coperta, ha un’espressione serissima questa mattina. Non sorride. Non mi saluta con il suo tradizionale “Ciao Darling”. Non ha i movimenti fluidi come al solito.
“Wassup, Prudencia?”, le chiedo.
“Ho paura, ho paura……. Mi no wanna it!”.
“Di che cosa hai paura?”
“Ho paura di vivere un giorno in più. Ho paura di questo regalo di Dio. Che cosa ho fatto per meritare un giorno in più di vita? Niente!
Se io accetto questo regalo, facendo finta di niente…. Dio si arrabbia … e mi toglie la vita!”
“… mi no wanna it…..mi no wanna it…. mi no wanna it”, continua a ripetere, mentre scompare nel retro bar in cerca di riparo.
Mi riprometto di spiegare alla ragazza, più tardi, che non ha nulla da temere da una semplice convenzione internazionale.
Proseguo lungo il ponte dodici, in cerca di un caffè.
Questo è un buon giorno per morire! Ricordo la frase di Dustin Hoffman nel film “Piccolo grande uomo”. Il caffè è veramente pessimo.
Neanche quattro bustine di zucchero “regular”, sono sufficienti per renderlo decente. Questa è la vera disgrazia per un italiano all’estero!
Osservo un gruppo di pax che giocano a carte. Accanto, un tavolo di addetti al casinò di bordo fanno colazione. Disseminati in ordine sparso, tra i vari tavoli vuoti, persone che leggono. Osservo il mare e non capisco come esso possa essere sempre diverso. Non saprei definire meglio; però non ho mai avuto la sensazione di averlo già visto in precedenza. Forse è un po’ come i volti degli uomini : non ce ne sono di identici. Questa è un’acqua che rotola su se stessa dall’Artico all’Antartico , dall’Asia all’America. Immagino grattacieli di sale sul fondo, echi di naufraghi che si espandono e si ricompongono come una sorta di arabeschi di un fumo di sigaretta nell’aria. Il lungo gioco del fare e disfare. La vita di un uomo è un’orma sul bagnasciuga, tra un’onda e l’altra, la cui durata è affidata al vento che impone il ritmo all’onda. Perché un uccello non può volare dentro al mare ?
Sono le 9.45 di venerdì 1 marzo 2002 in latitudine 25° 22’ Nord attraversiamo la Linea delle Date.
Dall’estremo Est del mondo, nello spazio di un secondo passiamo nell’estremo ovest.
Immagino un doganiere di dio chiederci : “Anything to declare?”.
Prudencia continua a vivere, forse il suo dio si sarà distratto. George, se continuerà a lavorare sedici ore al giorno, nelle cabine dei suoi pax, guadagnerà un po’ di più. Io se il Cantiere avrà capito il concetto, non dovrei temere di essere svegliato telefonicamente alle tre di notte.
E’ più pericoloso attraversare la linea continua in curva a bordo di un’automobile, che quella relativa alle nostre coscienze?
Oggi il mio tempo non sarà misurato dall’orologio.
Ho in mano i suoi occhiali da sole. Il solo ricordo tattile che io abbia di lui. Il mio ex direttore non ce l’ha fatta. Qualche giorno fa ho ricevuto la notizia della sua morte. L’ultimo periodo fu una cosa triste. Come l’affondamento di una grande nave.
Un alpino imprestato alle navi. La regalo a te, direttore, questa cosa scritta per me stesso, nei primi anni settanta. Avevo scritto questo necrologio, nella speranza di meritarmelo un giorno. Nelle mie intenzioni doveva …. Non ha importanza, ora… è tuo.
 

Assetato di luce,
sei vissuto
in spazi di gabbiani,
un alito
appena sfiorato dall’onda.
Indifferente al richiamo
della tua carcassa,
carne e nervi nella nebbia
lasciasti.

Nell’antico scafo
per dar fondo, ritorni:
hai chiuso,
per l’ultima volta
il tuo boccaporto.


E’ notte. Sono a poppa.
Ho il cuore gonfio ed alla testa bussano sogni con l’insistenza di accattoni alla porta.
Il mare è solo ombre increspate.
Muovo le spalle ma non i miei pensieri.
Guardo il cielo… il cielo … il cielo…Ho capito! Ho finalmente capito, dopo cinquantacinque anni…..ora sono sicuro di aver capito.

 

E presto intesi la romba d’un vento:
Non c’investiva,
Ma col suo solo suono squassò le vele
Tanto fruste e secche.

Sopra il mio capo l’aria si commosse!
E s’accesero cento luminarie
Che facevano in cielo l’altalena!
In mezzo a quelle, a sinistra e a dritta,
Ballavan pure le cineree stelle.


Grazie Samuel Taylor Coleridge.
Grazie a nome di tutti noi che stiamo in mare."


 


postato da Sergio Davanzo - mercoledì 07 ottobre 2009 alle ore 18:04

Ma si deve commentare l'opera pittorica o il titolo? Rido (anche pensando a Freud, che stimo con moderazione)!!!


postato da Coco - giovedì 08 ottobre 2009 alle ore 22:32

Coco...commenti tutto ciò che vuoi...il titolo non è casuale nella mia produzione. Io parto dal titolo e "svolgo" (se mi riesce) il compito in classe. Qualora il risultato mi soddisfi, lo conservo, altrimenti lo "copro", quando possibile, oppure lo brucio, lo elimino.


postato da Sergio Davanzo - venerdì 09 ottobre 2009 alle ore 13:01

Splendida la tua poesia "La nostra rivoluzione" evidentemente hai vissuto la stagione del 68. Molto bello il frammento di "Crossing" postato in questi commenti.

Veniamo a questo tuo pezzo pittorico: senza tema di smentita lo sento molto "vedoviano" al punto che potrebbe essere intitolato "Omaggio a Vedova". Non sono ancora stato a visitare la Fondazione Vedova in Giudecca, immagino di trovare un feeling comune tra questo tuo "nero" e la produzione del maestro veneziano. Conoscendo il tuo essere uomo di mare, ti dirò che vedo anche lo scheletro di una nave da carico in legno, tirata in secca sulla spiaggia al chiaro di luna. Vedo distintamente le corbe, le anguille, i paramezzali.... Immagino che tu usi questo scheletro come una sorta di casa nella quale addentraci per esplorare il poprio essere. Non vuoi che sia "un viaggio nell'inconscio" infatti nel titolo dici: "...& Freud non è della partita". Il tema del viaggio introspettivo, che tu lo voglia o no, viene fuori prepotentemente in questo tuo pezzo da "Fondazione Davanzo". Molto bello e molto significativo e le persone sembrano anche capirlo! Complimenti.


postato da Alex Lavaroni - venerdì 09 ottobre 2009 alle ore 16:30

Cosiderando quanto afferma Alex mi sembra opportuno : EMILIO VEDOVA

images.google.com/images

 


postato da Sergio Davanzo - venerdì 09 ottobre 2009 alle ore 22:51

stores.lulu.com/sergio1davanzo


postato da Sergio Davanzo - venerdì 09 ottobre 2009 alle ore 23:25

Trovo quest'opera affascinante!


postato da Mia Roiter - venerdì 09 ottobre 2009 alle ore 23:43

Un viaggio che io spesso condivido. Molto bello.


postato da Profondità - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 13:00

Trovo questo "viaggio" estremamente interessante ed intrigante.


postato da Puster - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 14:23

Decisamente coinvolgente! Complimenti anche per le liriche e la narrativa: ho ordinato "Crossing". Le posterò un commento al proposito.


postato da Liza - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 15:02

Non dovrei dirlo, ma questo viaggio mi fa molta paura.


postato da Dolores Lafuente - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 15:11

Più che paura compromette le mie certezze.


postato da Dolores Lafuente - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 15:13

Splendide liriche. "La morte del vecchio marinaio" e "La nostra rivoluzione". Pur , la seconda essendo il frutto delle aspettative/delusioni del '68, la trovo incredibilmente attuale. Complimenti mio grande poeta conterraneo!


postato da Dok - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 15:40

Dimeticavo. Questo viaggio "vedoviano" secondo alcuni, a mio parere, invece è molto suo! ricodo di aver visto la sua mostra "Cover, uncover, discover Feelings" è questo potrebbe essere inserito a pieno titolo in quella rappresentazione. Grazie per questi doni.


postato da Dok - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 15:44

Ti chiamerò: "Sergio troppa roba!"


postato da Kurt - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 16:00

Dunque ragioniamo: siamo in viaggio nella notte. Ti pensavano morto. Sei riuscito a salvarti andando in bagno, e Freud non c'entra. Vuoi dire "Poche masturbazioni mentali e cerchiamo di sopravvivere in questa notte dei tempi attuali?" 


postato da Ciro Bonito - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 17:01

Un monocromo di grande bellezza e tensione emotiva. Bravissimo!


postato da Arman - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 17:26

Se la notte è questa io sono disponibile al viaggio!


postato da Vanni - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 17:50

Molto profondo e nebuloso! Mi sembra voglia dire e non dire far vedere ma non del tutto... il dipinto è bellissimo ed inquietante se visto dal punto di visa di chi pensava fossi morto...in parte cinico da chi risponde no ero in bagno... forse...vado a sensazioni...

Lo scritto, invece, è molto più chiaro e allora si apprezza di più il disegno! Grande il testo tuo e ottima la scelta della citazione!!!


postato da Paolanatalia58 - domenica 11 ottobre 2009 alle ore 10:27

Molto ma molto bello questo Sergio!


postato da Circolo Vecchia Quercia - domenica 11 ottobre 2009 alle ore 12:51

Indubbiamente questo monocromo esercita un fascino su di me!


postato da Rotcko - domenica 11 ottobre 2009 alle ore 22:29

Questo pezzo ha attinenza con quanto postato sotto...

"Io credo che non ci siano schemi fissi"
 

Il rapporto con le cose e gli avvenimenti che ci circondano con le sue proiezioni sul futuro l'artista lo traduce secondo le proprie necessità. Quando anche la denuncia diventa una bufala solo per la visibilità o tendenza, l'artista dovrebbe osservare in primo cosa realmente 'manca' al tessuto sociale e, se le sono le forze primigenie che sono venute a mancare, cerca il recupero attraverso quelle e alla propria sensibilità e non gliene può importar di meno delle correnti o la ricerca di tendenza.

Le ricerche le esegue sulla base della propria sensibilità ed esigenza. Sicuramente ha il coraggio anche di andare contro tendenza perché non è detto che quello che serviva in una certa epoca anche in termini di provocazione, possa servire in un'altra, dove tutto , anche la provocazione è diventata strumentale al profitto. Non ho mai visto artisti di popoli repressi esprimersi solo sulla denuncia , ma sicuramente più spesso attraverso il sogno o alle proprie esigenze interiori , unica forma di libertà ancora gestibile : il proprio mondo interiore e le proprie visioni da contrapporre ad un mondo a cui tutto questo è stato negato.

La vera trasgressività dell'artista contemporaneo è il recupero di se stesso e di tutto quello che di cui si è fatto scempio, poetica compresa.

Va da sé che forse oggi, gli artisti più credibili in toto rimangono i bambini con queste caratteristiche
e gli artisti 'out'.

I primi con un vissuto troppo corto per essere definiti tali in maniera completa e gli altri, emarginati in quanto veramente 'liberi' e quindi non commerciabili e strumentalizzabili, se mai schiavi solo delle loro ossessioni, ma sicuramente non rispetto alla loro libertà espressiva

Io credo non ci siano confini nell'arte : purché sia arte .

Ognuno usa il veicolo espressivo che più gli è congeniale , ma considerando che questo ioArte interessante per i quesiti che pone e per i confronti che dovrebbero arricchire proprio per le diversità di pensiero e non certo per polemica sterile (sempre meglio chiarire nel virtuale:) credo che chi usa la materia proprio come piacere della materia nella sua fisicità e il colore come impasto proprio per ottenere determinate vibrazioni cromatiche, difficilmente userà mai un pantone digitale se la sua ricerca ed esigenza si esprime con quelle caratteristiche ...

Uno può darsi al digitale per altri aspetti altrettanto intriganti, ma sicuramente diversi. Come non credo che sia un 'espressione nuova né la pittura né il digitale anche perché quest'ultimo si usura più velocemente nei programmi che vengono sostituiti con la velocità della luce.

Per quanto riguarda le diverse culture ben vengano, ma ho il sospetto che una cultura che si sviluppa da noi o in Spagna, in America in Bielorussia, Russia o nella profonda Africa , per quanto si facciano contaminare ,non dobbiamo dimenticare che ognuna di loro ha radici profondamente diverse che non si possono sostituire o dimenticare.

 

Dovrebbe essere anche significativo , quanto ci portiamo dentro radici, gusti e quant'altro che ci influenzano nella scelta delle preferenze.
Di solito i lavori preferiti sono quelli che corrispondono ai nostri canoni estetici e di gusto personale, cosa che in arte non dovrebbe mai succedere.

In maniera istintiva può piacere di più un lavoro simile ai nostri gusti personali, ma l'arte potrebbe anche trovarsi in opere che come gusto non rientrano nelle nostre preferenze, ma sicuramente in canoni artistici. Ho la sensazione che questo sia uno sbaglio che facciamo un po' tutti....sia ' perché viene naturale e perché, a volte .dimostra anche quanto siamo presi da noi stessi, senza riuscire ad entrare umilmente nei lavori di altri.
con tutto il pieno rispetto, per chi fà figurativo "classico"..secondo il mio modesto parere,il massimo per esprimere "il senso della vita, lo stato delle cose, il divenire dell'uomo, oggi", è l'informale, il materico, il figurativo "essenziale" ....usando la materia....tutta la materia,lo scarto, si può rappresentare, ...cosa meglio di un vecchio cartone ingiallito dal tempo, gettato per strada, indifferente a chiunque, può rappresentare la situazione di molti esseri umani del nostro pianeta..non importa se nell'opera non esiste una smorfia sul volto o le mani che sorreggono uno sguardo vuoto....basta vedere quei "rifiuti" per strada...per capire dove è arrivato l'uomo...in un mondo in cui tutto si può abbandonare, distuggere....tanto si "rifà"...no, si stanno spengendo i valori, i sentimenti, che valgono più dell'oro, giallo o nero che sia....scusate se mi esprimo in questo modo, forse sembrerò arrogante, ma chi mi conosce dal vero...sa che non lo sono...sono solo sanguigno...sincero..."ignorante" artisticamente parlando...ma UOMO!! inteso naturalmente come essere umano...ciao a tutti


 


postato da Sergio Davanzo - martedì 13 ottobre 2009 alle ore 09:52

Spesso, dipingendo, mi sono allontanato da alcune convinzioni acquisite attraverso un giudizio, o un consenso, politici.

Quando si dipinge, esigenze, persuasioni e abbandoni culturali contano meno di quanto non si creda; e ciò vale ancora di più, ovviamente, per l'ideologia.

Fare pittura è anche un modo per verificare la validità dei propri pensieri: quante opinioni che ci apparivano ben salde e importanti finiscono per rivelarsi deboli, se non inutili. La pittura è una espressione che non può dare voce a ciò che le è estraneo...

La più alta libertà possibile che l'artista può raggiungere dipende dalla coscienza e dal dominio dei problemi che l'arte stessa gli pone. La libertà dell'artista non è la libertà che egli si prende rispetto al mondo esterno. È semmai l'impegno a liberarsi dei propri pregiudizi, per seguire un libero cammino di conoscenza.

 

Alberto Sughi


postato da Sergio Davanzo - venerdì 16 ottobre 2009 alle ore 19:03

Tratto da "Las Flores De La Pasion" (Lulu.com editore)

"...Il blu indaco intenso fa risaltare il bianco sporco dei cirri nembi carichi di pioggia. Il cielo sembra un insieme di ventri rigonfi di topi femmina incinte.
Mulinelli di carte e foglie secche agli angoli delle strade. Versi di gabbiani coprono il rumore delle prime gocce di pioggia. I tetti di lamiera delle case del villaggio risuonano con l’acqua. Rivoli scorrono disordinatamente in uscita dai vicoli, iniziando la loro opera di spazzini. Le persiane, tutt’attorno, sbattono rumorosamente.
Rabbrividisco all’improvviso ed istintivamente ricerco con lo sguardo una protezione, imprecando ad alta voce. Non odo le mie imprecazioni. Il rumore di fondo dell’inizio di tempesta è superiore al volume della mia voce. Inizio a correre in discesa lungo il viottolo lastricato con l’approssimazione generale che il luogo rivela in ogni suo particolare. Scorgo una baracca di ridotte dimensioni con delle insegne appese, sembra essere un bar. Vi entro ansimante per la corsa sostenuta. Sono fradicio. L’uomo di colore, con l’andatura caracollante tipica di chi scarichi casse da birra, da una vita, si avvicina, mi osserva e sorride, rimanendo fermo in attesa.
Poco dopo entra una ragazza. Le gocce di pioggia sembrano perle infilate nei suoi corti capelli scuri. Anche lei, deve aver corso poiché il suo seno, sotto la camicetta bagnata, sembra esplodere nel ritmico movimento della respirazione affrettata.
La osservo: i fianchi stretti, le gambe proporzionate e le caviglie sottili, la rendono quasi bella. Senza esitazioni, si sfila i sandali di cuoio grezzo ed entra, scostando una tenda, nel vano adibito a retrobottega. La tenda rimane leggermente scostata, sembra una finestra aperta. Mi ricordo del vecchio in attesa ed ordino una birra.
La ragazza inizia a spogliarsi. Io distolgo lo sguardo. Il vecchio, dopo avermi servito, seduto sullo sgabello di legno, pazientemente aspetta. Il suo sguardo non ha una espressione particolare. Sembra piuttosto, ora che osservo meglio, rivelare un certo distacco dalle cose terrene.
Vedo la ragazza continuare nell’operazione di liberarsi dagli abiti fradici. Rimane in slip e si gira di scatto. Imbarazzato e sorpreso, come un bambino che spia dal buco della serratura, reagisco concentrando il mio sguardo sul bicchiere di birra che reggo in mano. Mi costringo ad ignorare quella tenda, osservo le piccole gocce di rugiada, scendere lungo il vetro del bicchiere, esse violano lentamente, il bianco opaco strato uniforme di condensa provocato dal liquido ghiacciato. L’uomo continua a fissare la porta d’ingresso del locale, ma sembra, non vederla. Io, osservo le sue mani: nodose, robuste, segnate. Noto il contrasto tra quelle mani e le spalle ricurve abbandonate a se stesse. Forse, addirittura ripiegate. Il mio osservarlo sembra svuotarlo, quasi gli rubassi energia.
All’esterno della baracca, la furia degli elementi si sta scatenando. La pioggia frusta, portata dal vento, ogni cosa che trova sulla strada. Le foglie si staccano dai rami. I rami dagli alberi. Gli alberi dalla terra. Rigagnoli di pioggia si fondono tra loro ingrossandosi. I torrenti nel loro improvvisato scorrere portano ogni sorta di testimonianze umane abbandonate. I fiumi, nel loro impetuoso fluire scavano tra le radici della mangrovie, portando a valle terra ed erba. I fiori rossi della passione di Cristo volano, staccati dalle loro piante e, come imbarcazioni prive di timoniere, vengono trasportati nell’aria dalla bufera. All’interno della stanza in cui mi trovo, la luce artificiale, accesa, pulsa. Il volto del vecchio, in quella irreale atmosfera, illuminato in modo intermittente, ora sembra sinistro. Io sono immobile. La muscolatura irrigidita della schiena ne risente ed inizia a tormentarmi. L’impercettibile tremore delle mie dita evidenzia il mio stato di tensione. Una finestra sbatte in sincronia con la mia respirazione. La furia del vento è notevole, all’esterno. Una parte della tenda dell’ingresso, parzialmente chiusa dalla porta all’esterno, fradicia di pioggia sventola come una bandiera di resa. A nessuno di noi il fatto sembra importare. All’improvviso il vento sembra voglia sradicare il tetto della costruzione. Il quel preciso momento il vecchio parla:”Ora la tempesta finisce”.
Profeticamente, nel giro di pochissimi minuti, il tempo si placa e spunta il sole..."


postato da Sergio Davanzo - lunedì 19 ottobre 2009 alle ore 10:12

"Fare pittura è anche un modo per verificare la validità dei propri pensieri: quante opinioni che ci apparivano ben salde e importanti finiscono per rivelarsi deboli, se non inutili. La pittura è una espressione che non può dare voce a ciò che le è estraneo..."

Molto bello & molto giusto!


postato da Vince - lunedì 19 ottobre 2009 alle ore 10:34

Mi piace molto questo monocromo. Se Freud non fosse escluso, lo avrei definito un "viaggio nell'inconscio".


postato da Mah...! - lunedì 19 ottobre 2009 alle ore 10:36

Io vivo in una tomba perché io sono un intellettuale
di Ascanio Celestini

Non sono l'unico
e non sono stato il primo a scegliere una tomba come abitazione.
Prima di me ci sono andati i depressi.
Mi fanno una rabbia! Sono stati profetici.
Sono stati i primi a capire che non aveva senso. Che niente lo aveva.
Io invece a quel tempo era anche sporadicamente felice.
Mi succedeva quando andavo al mare.
Non d'estate.
D'estate non ci sono mai andato, nemmeno ai bei tempi.
Non sono mai stato così tanto "felice".
La gente mi ha sempre fatto istintivamente schifo.
Non ero cosciente che questo schifo fosse totale,
ma modestamente per gli esseri umani ho sempre provato un ribrezzo spontaneo.

Eppure andavo al mare
non d'estate, ma ci andavo.
In un bar in ristrutturazione con la cameriera grassa mi prendevo un caffè,
ristretto,
amaro,
mi affacciavo alla finestra, sentivo il tepore del sole e ero felice.

I depressi no.
erano tristi a tempo pieno.
Per loro il mare era uno schifo in tutte le stagioni,
una pozza d'acqua salata, una presa per il culo dei naufraghi
che in mezzo al mare manco se lo possono bere.
"Naufrago muore di sete!" ...se non è deprimente questo...

E il sole?
Per i depressi, già allora, era una merda solo a pensarci,
astro assassino portatore di tumori alla pelle.

Che invidia per i depressi!

Ora anche io l'ho capito che non vale la pena.
Mi sveglio la mattina e mi dico "alzati e fumati una sigaretta"
oppure "alzati, butta le sigarette nel cesso e smetti di fumare",
in fondo sono due soluzioni contrapposte,
in casi come questi ce ne dovrebbe essere una giusta e una sbagliata,
dovrei avere il 50% delle possibilità di fare una cazzata,
ma anche il 50% di azzeccarci.

Ma poi mi dico "ne vale la pena?"
e mi rispondo "ovviamente no"
e me ne resto semplicemente a letto
e non pensando di fare la cosa giusta
ma con la convinzione che nella vita abbiamo a disposizione solo risposte sbagliate
allora: meglio lasciar stare.

Perché stare a cercare un'alternativa?
Avrebbe senso svegliarsi pensando: "magari mi faccio un caffè"
e allora aggiungo sempre "ma ne vale la pena?"
e ovviamente non vale la pena!
Penso "magari faccio due passi... ma ne vale la pena?"
penso "magari mi ammazzo!"
perché ho pensato anche al suicidio, ma alla fine ho scartato questa possibilità.
Non vorrei che dopo la mia morte qualcuno pensasse che avessi avuto un motivo per farlo,
sicuramente qualcuno si metterebbe in testa che l'ho fatto per amore,
per paura di qualche malattia o peggio ancora per le idee,
pensa... direbbero "si sentiva tradito dall'umanità ... era un idealista".

E invece guarda i depressi,
sanno sempre che non ne vale la pena
per questo sono stati i primi a scegliere di vivere nelle tombe
lontano dall'umanità che pensa, riflette, lotta, crea, distrugge, spera!
Sì, perché ci stanno anche quelli che hanno speranze
sperano di campare cent'anni o di diventare ricchi,
sperano di scopare il sabato sera o di guarire da un tumore.

Ci stanno persino quelli che dicono "speriamo che non si metta a piovere"
ma cosa te ne importa!
E se non piove? Cosa ti cambia?
Pensa a un giorno d'estate all'inizio agosto, una giornata piena di sole
un giapponese di Hiroshima pensa "speriamo che non si metta a piovere"
e infatti non piove,
ma poi vede la sua città diventare un secchio di cenere.

La speranza è un'attività da esaltati

Come si fa a avere speranze nel futuro, cioè in una cosa che non esiste?
È come dare la chiave della propria casa al primo che passa per strada ipotizzando che ci sia una possibilità che si tratti di un maniaco del pulito che verrà a farti le pulizie di Pasqua.

E invece guarda i depressi
sanno perfettamente che l'unica certezza è la morte.
l'unico avvenimento che accadrà sicuramente in quel tempo probabile che è il cosiddetto futuro.
E quando accadrà sarà in forma di presente
perché chi muore... muore "ora" anche se è nato mille anni prima come Matusalemme.

Che precursori i depressi!
Appena è stato possibile se ne sono andati a vivere nelle tombe.

E adesso anche io
un intellettuale
vivo in una tomba!

E ho fatto bene
perché al cimitero sono circondato dalle cose che mi sono più care.

Teatro, danza, cinema.. la cultura

il teatro è morto.
gli attori... ridicoli imbecilli sempre pronti a sfilarsi i pantaloni per mostrare la calzamaglia
perché gli attori sono così!
La calzamaglia da guitti è sempre pronta sotto i jeans
come i vecchi che non si sfilano mai i pantaloni del pigiama
neanche sotto il vestito buono il giorno della comunione del nipote,
come i maniaci che girano nudi sotto all'impermeabile,
patetici attori col teschio nella ventiquattrore col monologo sempre pronto.

Morto il teatro
e morta la danza,
le ballerine anoressiche coi piedi deformi
i ballerini froci col cazzo sempre in mostra davanti a sgallettate in pelliccia che li applaudono alle prime nazionali.

Morto il teatro, la danza
e morto il cinema
chi può dire il contrario?
La maggior parte degli attori nella maggior parte delle pellicole girate dai Lumiere a oggi
stanno tutti qui al camposanto
tutti sotto terra... a fa' la terra pei ceci, come si dice a Roma.

È morta anche la cultura
che infatti viene proprio dal latino còlere, cioè coltivare
una robba che non può che finire sotto terra.

Io sono un intellettuale
e nel disastro generale della cultura salvo solo la televisione.

Che meraviglia la televisione.
È l'unica attività in cui gli esseri umani non si vergognano di presentarsi per quello che sono
ovvero: una merda!
e non una merda fascista o una merda comunista
una merda cattolica o musulmana, atea, ebraica, buddista, animista,
dentista o dantista
ma una merda semplice su cui puoi attaccare un'etichetta qualunque
come sul barattolo per le analisi delle feci
puoi scriverci quello che vuoi:
il tuo nome e cognome, capo della Mafia, Papa e presidente del consiglio,
imperatore di Capri o Faraone d'Egitto,
ma dentro c'è solo un po' di merda
che nel migliore dei casi può diventare concime,
còlere-cultura appunto,
o un balocco per scarabei stercorari.

Io sono un intellettuale
e nella tomba in cui vivo guardo solo la televisione
e non parlo solo di quei programmi in cui la gente si incazza, si sputa e si scoreggia addosso vicendevolmente,
i programmi sono tutti uguali
cambia solo l'etichetta, ma il contenuto è un escremento caldo appena infilato in un barattolo.

Ecco il telegiornale!
"Una donna francese nella periferia di Marsiglia
partorisce due figli e li uccide infilandoli nella ghiacciaia condominiale.
E ora il consiglio della settimana:
come scongelare il polpettone col microonde".

... lo fanno davvero
"The show must go on" dicono,
è come quelli che dicono che però ai tempi del nazifascismo i treni arrivavano in orario... ma arrivavano a Auschwitz!
...e vabbè, ma in "orario"!
sei milioni di clienti e nemmeno una protesta.

"The show must go on" dicono,
come quelli che scrivevano "Arbeit macht frei"
all'entrata di Auschwitz, Dachau, Flossenburg, Gross-Rosen, Sachsenhausen o Terezin.

"The show must go on" dicono in televisione.
Io sono un intellettuale
e nella tomba in cui vivo guardo solo la televisione
l'unica espressione culturale che ribadisce incessantemente la scomparsa definitiva della cultura,
la morte cerebrale.

Io per la televisione c'avrei anche qualche idea,
ho pensato un programma.
Un quiz.
Due concorrenti si sfidano sulle solite domante del cazzo.
Il nome di sette colli, dei sette re di Roma, dei sette nani...
e alla fine
quando si deve proclamare il vincitore
scopriamo dove sono stati pescati i due concorrenti che si sono sfidati per tutta la sera:
non li abbiamo selezionati con eliminatorie dirette
o in base a un curriculum
o per raccomandazione,

Li abbiamo presi in un reparto oncologico,
hanno fatto gli esami
uno ha un tumore maligno e l'altro benigno
ma non hanno ancora in mano i risultati.
Glieli diamo noi in diretta.
"Gentile signor Rossi, lei ha perso... ma tanto non si sarebbe goduto la vincita..
..il suo fegato è cotto!"
Oppure "signor Tal De Tali... ha dai due ai sei mesi per decidere a chi lasciare i soldi che ha vinto rispondendo alle nostre domande,
poi saremo felici di ospitarla nella nostra residenza cimiteriale..
Il suo collega non ha vinto una lira,
ma la macchia che aveva sulla lastra al torace
era solo una caccola!"

Come per dire che l'arte sta sempre dalla parte sbagliata della vita,
che la vita è sempre un'altra cosa.

E se ne sono resi conto anche i nostri governanti
che l'arte è morta, morta... che è morta!
Per questo ci hanno dato un posto al cimitero.

Eppure noi, gli attori abbiamo sempre parlato di voi governanti.

I nostri migliori personaggi da sempre sono stati i voltagabbana,
i traditori, magnaufo a tradimento, mignotte e puttanieri,
noi abbiamo parlato di voi, sempre di voi.

Noi come voi siamo col razzismo ci abbiamo campato:
come avremmo potuto scrivere l'Otello se non ci fosse stato l'odio razziale?
Se Otello era un idraulico di Centocelle ci mancherebbe uno dei momenti più alti del teatro mondiale.

Noi abbiamo trattato Dio come ora fate voi, alla stessa maniera.
Perché anche da noi, quando la situazione si incasinava... deus ex machina!
E lo tiravamo in ballo pure se non c'entrava niente.

Noi siamo artisti,
viviamo nelle tombe
e con la morte ci lavoriamo da sempre.
Sarà che per la tournée ci facciamo un sacco di chilometri in autostrada
e si vedono più incidenti che autogrill...
Ma per anche noi come per voi la morte è uno strumento del mestiere.
Voi governanti approfittate di ogni tragedia...
...proprio come abbiamo sempre fatto noi!
Anche per noi come per voi la morte è un business!

E siamo d'accordo con voi:
che vogliono 'sti medici relativisti?
che significa che il cervello ormai è spappolato?
non basta morire per essere morti davvero!
Io ero Amleto
e morivo sei giorni a settimana
e il giovedì che facevo pure la pomeridiana, morivo due volte al giorno
e alla fine dello spettacolo ero ancora vivo.

E dopo magnavo a quattro ganasce
altro che sondino endogastrico


E siamo d'accordo con voi
anche noi coi morti ci lavoravamo.
Molière, Shakespeare, Pirandello, per non parlare di Sofocle e Euripide
...tutti morti che lavoravano con noi!
Ma almeno noi i morti li portavamo in scena!

Voi rottamate una Panda di dieci anni che ha fatto centomila chilometri
o un motorino smarmittato che cammina ancora,
ma una donna morta da anni....
che solo per caso gli batte ancora un po' il cuore
magari solo perché gli avevate appena cambiato le pile al pace maker
..voi quella la tenete attaccata a un tubo, dite che è in vita!
Pure se è meno meno viva di una Panda rottamata!
e impedite che venga messa sottoterra.

Noi... i morti li portavamo in scena,
ma voi che ci fate co 'sti morti?
Li fate votare?
Ci fate i sondaggi (altro che sondini),
ecco perché aumentate i vostri consensi
e arriverete al 200 per cento.

Il presidente del consiglio dissotterrerà anche gli etruschi e gli antichi romani
e dirà "Tarquinio Prisco vota per me!"

Io vivo in una tomba
perché io sono un intellettuale.

Io vivo in una tomba
e alla fine sono morto

perché m'avete tolto il gusto di lavorare coi miei morti preferiti
perché fate vivere un embrione
e una donna in coma,
ma fate morire per sempre Amleto e Alceste, Medea e Pulcinella.

Sono morto per non essere più un contemporaneo vostro.

Io sono morto perché a stare tra voi viventi mi rodeva troppo il culo
e adesso il mio culo che se lo mangiano i vermi,
esso è diventato una preoccupazione loro
rosicate spaghetti striscianti!

Che precursori i depressi!
appena è stato possibile se ne sono andati a vivere nelle tombe
e hanno preso le migliori, quelle senza finestre.

Se stai chiuso nella tomba non distingui una giornata di sole dal diluvio universale,
le finestre sarebbero una stupida tentazione,
puoi tenerle chiuse, ma hai sempre una possibilità di aprirle per affacciarti fuori,
è come l'ex-fumatore che si va a comprare le sigarette
se vuoi smettere davvero non c'hai il pacchetto sul comodino.

Allora: meglio non avere finestre

Perciò
noi siamo morti.
Siamo morti perché non siamo come voi,
perché se voi siete vivi
è evidente che noi siamo un'altra cosa!

01 aprile 2009


postato da Sergio Davanzo - lunedì 19 ottobre 2009 alle ore 16:05

"Ho visto degli orrori, orrori che ha visto anche lei, ma non avete il diritto di chiamarmi assassino, avete il diritto di uccidermi, questo sì, avete il diritto di farlo ma non avete il diritto di giudicarmi. Non esistono parole per descrivere lo stretto necessario, a coloro che non sanno cosa significhi l'orrore. L'orrore. L'orrore ha un volto e bisogna essere amici dell'orrore, l'orrore e il terrore morale ci sono amici in caso contrario, allora diventano nemici da temere. Sono i veri nemici. Ricordo quando ero nelle forze speciali, sembra siano passati mille secoli. Siamo andati in un accampamento per vaccinare dei bambini; andati via dal campo, dopo averli vaccinati tutti contro la polio, un vecchio in lacrime ci raggiunge correndo, non riusciva a parlare. Allora tornammo al campo, quegli uomini erano tornati e avevano mutilato a tutti quei bambini il braccio vaccinato. Stavano lì ammucchiate un mucchio di piccole braccia, e mi ricordo, che io ho, io ho pianto come, come una povera nonna, avrei voluto cavarmi tutti i denti, non sapevo nemmeno io cosa volevo fare. Ma voglio ricordarmelo non voglio dimenticarlo mai, non voglio dimenticarlo mai. E a un certo punto ho capito, come se mi avessero sparato, mi avessero sparato un diamante, un diamante mi si fosse conficcato nella fronte e mi sono detto: Dio che genio c'è in quell'atto, che genio. La volontà di compiere quel gesto, perfetto, genuino, completo, cristallino, puro. Allora ho realizzato, che loro erano più forti di noi, perché loro riuscivano a sopportarlo, non erano mostri, erano uomini. Squadre addestrate. Questi uomini avevano un cuore, avevano famiglia, avevano bambini, erano colmi d'amore, ma avevano avuto la forza. la forza...di farlo. Se avessi avuto dieci divisioni di uomini così, i nostri problemi sarebbero finiti da tempo. C'è bisogno di uomini con un senso morale e allo stesso tempo capaci di utilizzare il loro primordiale istinto di uccidere, senza sentimenti, senza passione, senza giudizio, senza giudizio, perché è il giudizio che ci indebolisce."

Monologo di Kurtz,
Apocalypse Now, Francis Ford Coppola, 1979
 


postato da Sergio Davanzo - lunedì 19 ottobre 2009 alle ore 16:27

Molto bello questo "Viaggio Vedoviano" al quale hai aggiunto la tua ironia, però consentimi le tue poesie sono stupende...oserei "materiche" le posso toccare ed esse mi toccano, mi spingono fisicamente!


postato da Principe - lunedì 26 ottobre 2009 alle ore 19:27

semplicemente splendido lavoro.


postato da Marumaru70 - mercoledì 28 ottobre 2009 alle ore 21:37

"La nostra rivolta era
Essere padri di noi stessi
Questa è altra cosa
E noi ancora figli
Muti
A guardare."

molto bello e molto vero: complimenti!


postato da Berta - giovedì 29 ottobre 2009 alle ore 18:33

His name is Sergio Davanzo. Strong in expressing his thoughts but tender in cuddling his dreams, he shows you unsuspected and unexpected aspects of his inner self. Sometimes he reveals them slowly, step by step; sometimes he shows them off abruptly, with a touch of challenging scoff. He paints. He paints because of an unsolved mixture of reasons. He paints because he needs to. Because he wants to. He paints to play. He paints because he has to paint.

Several of his works are the product of a deep need to communicate. The need to go beyond the limits of human words, beyond time and space, beyond conventional shapes with the aim of creating new and better ones, more intensely beautiful, giving thus voice to his inner and more complex thoughts.

Other works issue from Davanzo’s mere, instinctive wish to let himself go to the poetical evocation of images and feelings he has seen and lived. This inevitably pursues the connivance of his spectators, who can see and perceive his same sensations, deeply feel them and, by feeling, revive them. The result is an amazing range of ways and synaesthetical contaminations, both of colour and matter.

In Davanzo’s modus operandi often a single idea develops into a theme. It expands itself, defining autonomously its own leit motives. They are varied and widened, offered in their most flattering nuances. The original idea then swells to its utmost and, finally exhausted, it blows up. It is a definite resolution. Therefore Davanzo’s works, which follow a common vein until it is exhausted, can mainly be contextualized in groups. But, once he has finished with a vein of inspiration, sometimes the painter has already found in its ashes the beginning of several new ones. Sometimes he would rather wait before letting them catch his instinct and his paint-brush.

This is the process of painting for Sergio Davanzo. His subjects are various and different. He wants to tell as much as possible. The faces, the voices of past and present time, the places which have seen him growing both as a man and as an artist. His dog. His family. Those who have gone. Those who still have to come. A wrinkle on a forehead. The hissing of a lathe in a work shop. A minimal kaleidoscope of images, epiphanic moments which he fixes on his canvas. And which, if necessary, he moves, as he usually says “to the space”.

Certainly the imaginative titles he gives to his paintings are part of his seriocomic way of living and conceiving one’s necessities. They are delicious, often sharply ironic, and at first they astonish you, to let you eventually deal with a wake of reflection, whetting you as the back-taste of rum in a just baked cake, the recipe for which has been written and performed by Sergio Davanzo just for you.

Prof dott Maria Sole Politti
 


postato da Sergio Davanzo - lunedì 23 novembre 2009 alle ore 19:35

C’è una prometeica forza nelle opere di Sergio Davanzo che riconduce, con la certezza del segno e lo schiaffo del colore, ad un confronto con la realtà che non conosce compromessi o debolezze.
L’artista non abbassa lo sguardo e davanti all’esistenza egli si assume il diritto di dichiarare la verità. Lo fa attraverso un linguaggio visivo essenziale, sintetico, corrosivo, violento, titanico, provocatore. Usa la titolazione dei suoi quadri come dei tazebao: sono verdetti che illuminano, parole che possono essere incipit quanto sentenza lapidaria su un argomento che la tela sintetizza in linee di immediata intuizione, con un uso dirompente dell’elemento cromatico, con tinte che acquistano voce. Davanzo riesce a far riecheggiare nel movimento dei suoi quadri le vibranti intensità del paradosso creativo, in bilico tra ragione e gesto puro ed istintivo, folgorazioni che sono rivelazioni e universalità
 

Prof Fabio Favretto
 


postato da Sergio Davanzo - lunedì 23 novembre 2009 alle ore 23:58

Io non mi definisco “pittore” ma scrittore di emozioni in pittura.
Io credo che si possa definire pittura “il fissare con i colori la luce che la nostra anima getta sulle cose”.


Questo lo hai detto tu!... ma se ti definiresti "un pittore" ed osservando questa tua opera... dove saresti, allora?

 


postato da Mabo - martedì 24 novembre 2009 alle ore 01:06

Mi piace molto il tuo modo di "sdrammatizzare" la situazione.


postato da Jo - martedì 24 novembre 2009 alle ore 12:18

Mi piace il carattere "Vedoviano" del dipinto e soprattutto l'ironia in esso contenuta.


postato da 8 - mercoledì 25 novembre 2009 alle ore 12:15

Lei è un genio non ho altre parole.


postato da Io Di Un Clown - venerdì 02 luglio 2010 alle ore 13:26

Incredibile!!!! e mi associo in toto con il commento precedente.


postato da Cirociro - lunedì 22 novembre 2010 alle ore 18:51

Adoro la tua ironia, oltre che la tua pittura s'intende!


postato da Silvia Gherghetta - sabato 04 dicembre 2010 alle ore 17:18

E noi ancora figli
Muti
A guardare.

 

E' così!


postato da Lu - lunedì 06 dicembre 2010 alle ore 13:05

ciao grazie dei tuoi voti ,sono contentissima che tu abbia visto i miei lavori. sandra levaggiho scelto quest'opera non a caso.....


postato da Sandra Levaggi - lunedì 21 marzo 2011 alle ore 21:06

...nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma... diceva  Lavoisier

pensavo fossi morto...sotto le macerie della tua vita

pensavo fossi morto...ingabbiato dalla tua mente

pensavo fossi morto...invece ti eri solo trasformato

 


postato da Marcio - sabato 09 aprile 2011 alle ore 12:50

Opera bellissima!


postato da Bi - giovedì 21 luglio 2011 alle ore 19:46

questo non l'ho capito molto....però mi piace!


postato da Berta - domenica 31 luglio 2011 alle ore 20:12

Drammaticamente bello sia per intensità che per profondità. Questo lavoro è un viaggio alla scoperta della profondità della vita. Complimenti vivissimi.


postato da July - lunedì 01 agosto 2011 alle ore 14:27

"Fare pittura è anche un modo per verificare la validità dei propri pensieri: quante opinioni che ci apparivano ben salde e importanti finiscono per rivelarsi deboli, se non inutili. La pittura è una espressione che non può dare voce a ciò che le è estraneo...

La più alta libertà possibile che l'artista può raggiungere dipende dalla coscienza e dal dominio dei problemi che l'arte stessa gli pone. La libertà dell'artista non è la libertà che egli si prende rispetto al mondo esterno. È semmai l'impegno a liberarsi dei propri pregiudizi, per seguire un libero cammino di conoscenza."

Cocordo. Bravo !!!

 


postato da Tina - venerdì 12 agosto 2011 alle ore 14:42

Unico, per ironia e profondità. Mi ricorda in parte il lavoro di Vedova. Non è una critica ma un complimento. Bravo.


postato da Lu - domenica 21 agosto 2011 alle ore 13:14

 grazie a tutti per i commenti postati!


postato da Sergio Davanzo - lunedì 07 gennaio 2013 alle ore 16:43

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  • La mia vita è un lungo lato di Bolina! ( ...ci sarà mai un lato in poppa con tangone...& tanga?)
  • Il futuro è roseo, il presente...un po' meno...
  • Vedo smerciare miele di vipera, agito braccia di carta che il vento disperde.
  • Omaggio ai Tubisti (Aisi 304)
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  • CROSSING (Lulu.com editore)
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