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Questa è una società che macina tutti i valori! (Sergio Davanzo)

Questa è una società che macina tutti i valori!

Commenti sull'opera Questa è una società che macina tutti i valori!:

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postato da Sergio Davanzo - venerdì 06 novembre 2009 alle ore 00:12

Sto dalla parte dei Don Chisciotte

ciao

Patrizia


postato da Patrizia Pianini - domenica 08 novembre 2009 alle ore 16:27

Fate una prova banale:

chiedete a qualcuno che vi vuol bene "per il mio compleanno, mi regaleresti un pò della tua comprensione..."?


postato da Sergio Davanzo - lunedì 09 novembre 2009 alle ore 01:11

...ritengo...molto più importante di un profumo, di una borsetta, di un casco ultimo modello, o di una cosa griffata... (uomini/donne)


postato da Sergio Davanzo - lunedì 09 novembre 2009 alle ore 18:54

Molto Bello & Molto Vero!


postato da Liza - mercoledì 11 novembre 2009 alle ore 16:04

Lo scopo di Cervantes è sottolineare l'inadeguatezza degli intellettuali dell'epoca a fronteggiare i nuovi tempi che correvano in Spagna, un periodo storico caratterizzato infatti dal materialismo e dal tramonto degli ideali, e contraddistinto dal sorgere della crisi che dominerà il periodo successivo al secolo d'oro appena conclusosi.

Il primo fine del romanzo, dichiarato esplicitamente nel Prologo dallo stesso Cervantes, è quello di ridicolizzare i libri di cavalleria e di satireggiare il mondo medievale, tramite il "folle" personaggio di Don Chisciotte; in Spagna, la letteratura cavalleresca, importata dalla Francia, aveva avuto nel Cinquecento grande successo, dando luogo al fenomeno dei "lettori impazziti".

 


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 14:46

Cervantes vuole inoltre, mettere in ridicolo la letteratura cavalleresca per fini personali. Infatti, egli fu soldato, combatté nella battaglia di Lepanto e fu un eroe reale (ovvero impegnato in battaglie reali in difesa della Cristianità), ma trascorse gli ultimi anni della sua vita in povertà (leggenda vuole che Cervantes trascorse gli ultimi suoi anni di vita in carcere), non solo non premiato per il suo valore, ma addirittura dimenticato da tutti. Egli cioè vuole opporsi al comune sentire a proposito degli eroi immaginari della letteratura cavalleresca: completamente inesistenti e di fantasia, ma esaltati all'inverosimile dalla gente comune e non solo. In altre parole, Cervantes desidera riequilibrare le opinioni della gente sul valore reale dei soldati della cristianità a discapito degli eroi immaginari dei libri cavallereschi.

 


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 14:47

Inoltrandosi nella lettura, subito dopo le prime avventure, Don Chisciotte perde gradualmente la connotazione di personaggio "comico" e acquista uno spessore più complesso. Lo stesso romanzo diventa ben presto molto più che una parodia o un romanzo eroicomico. Il "folle" cavaliere ci mostra il problema di fondo dell'esistenza, cioè la delusione che l'uomo subisce di fronte alla realtà, la quale annulla l'immaginazione, la fantasia, le proprie aspettative, la realizzazione di un progetto di esistenza con cui l'uomo si identifica.

 


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 14:48

Nel Don Chisciotte ogni cosa può essere soggetta a diversi punti di vista (ad esempio i mulini a vento diventano dei giganti), il che fa perdere chiaramente l'esatta concezione della realtà. Nell'opera di Cervantes è presente una dimensione tragica che dipende dall'inesistente corrispondenza fra cose e parole: le vicende cavalleresche ormai sono parole vuote, ma Don Chisciotte a causa della sua locura non se ne accorge e cerca di ristabilire i rapporti fra realtà e libri. La pazzia è il modo di vedere il mondo con occhi diversi, non offuscati dalle idee e dai condizionamenti sociali.

 


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 14:49

L'accumularsi di situazioni in cui lo stesso oggetto dà origine a interpretazioni dei due personaggi diametralmente opposte senza che nessuno dei due prevalga sull'altro, che trasformano la realtà a seconda della prospettiva cui la si guarda, incutono nel lettore quella sensazione di inquietudine, di incertezza irrisolvibile, tipica del Manierismo che viene risolta nella seconda parte grazie all'apertura di una nuova dimensione, squisitamente barocca, della narrazione, con la storia di nuovi eventi e la rifondazione dei vecchi su nuove basi in cui l'interpretazione e la narrazione vengono ad intrecciarsi in una rete di corrispondenze a specchio tra azione e riflessione, passato e presente, illusione e realtà, che è dinamica. All'interno di questa rete ognuno è costretto a reinterpretare la realtà come meglio crede poiché il narratore onnisciente scompare e il significato è affidato a due manoscritti diversi, spesso in contrapposizione fra di loro, con cui l'autore si prende gioco disseminando qua e là incongruenze e lacune per mettere in dubbio la verità dei due manoscritti.

 


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 14:49

Il Don Chisciotte è stato considerato il progenitore del romanzo moderno da importanti critici, tra cui György Lukács. Gli si contrappone, specie in ambito anglosassone, l'opera dello scrittore inglese del primo Settecento Daniel Defoe.

 


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 14:50

« Lucidate le armi, fatta del morione una celata, dato il nome al ronzino e confermato il proprio, si persuase che non gli mancava altro se non una dama di cui dichiararsi innamorato. Un cavaliere errante senza amore è come un albero spoglio di fronde e privo di frutti, è come un corpo senz'anima, andava dicendo a sé stesso »


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 14:52

« Toccava i cinquant'anni; forte di corporatura, asciutto di corpo, e di viso; si alzava di buon mattino, ed era amico della caccia [...] Negli intervalli di tempo nei quali era in ozio (ch'eran la maggior parte dell'anno), si applicava alla lettura dei libri di cavalleria con predilizione così spiegata e così grande compiacenza, che obliò quasi interamente l'esercizio della caccia ed anche l'amministrazione delle cose domestiche. »


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 14:53

« Viveva, or non è molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un hidalgo di quelli che hanno lance nella rastrelliera, scudi antichi, magro ronzino e cane da caccia. »


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 14:53

Il libro si struttura in due parti. Il protagonista della vicenda - di circa cinquant'anni, forte di corporatura, asciutto di corpo e di viso - è un hidalgo spagnolo di nome Alonso Quijano, morbosamente appassionato di romanzi cavallereschi, alla lettura dei quali si dedica nei momenti di ozio. Le letture lo condizionano a tal punto da trascinarlo in un mondo fantastico, nel quale si convince di essere chiamato a diventare un cavaliere errante. Si mette quindi in viaggio, come gli eroi dei romanzi, per difendere i deboli e riparare i torti.

Alonso diventa così il cavaliere don Chisciotte della Mancia e inizia a girare per la Spagna. Nella sua follia, Don Chisciotte trascina con sé un contadino del posto, Sancho Panza, cui promette il governo di un'isola a patto che gli faccia da scudiero.

Come tutti i cavalieri erranti, Don Chisciotte sente la necessità di dedicare a una dama le sue imprese. Lo farà scegliendo Aldonza Lorenzo, una bella contadina sua vicina, da lui trasfigurata in una nobile dama e ribattezzata Dulcinea del Toboso.

Purtroppo per Don Chisciotte, la Spagna del suo tempo non è quella della cavalleria e nemmeno quella dei romanzi picareschi, e per l'unico eroe rimasto le avventure sono scarsissime. La sua visionaria ostinazione lo spinge però a leggere la realtà con altri occhi. Inizierà quindi a scambiare i mulini a vento con giganti dalle braccia rotanti, i burattini con demoni, i greggi di pecore con eserciti nemici. Combatterà questi avversari immaginari risultando sempre sonoramente sconfitto, e suscitando l'ilarità delle persone che assistono alle sue folli gesta. Sancho Panza, dal canto suo, sarà in alcuni casi la controparte razionale del visionario Don Chisciotte, mentre in altri frangenti condividerà suo malgrado le disavventure del padrone.

 


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 14:54

NOTE CRITICHE

a cura di Laura Barberi

ll Don Chisciotte della Mancia fu pubblicato da Miguel de Cervantes Saavedra (Alcala' de Henares, 1547 - Madrid 1616) in due fasi distinte: una prima parte, scritta probabilmente tra il 1598 e il 1604, vide le stampe nel 1605, mentre una seconda parte uscì nel 1615 dopo che, in seguito al successo e quindi alle numerose ristampe della prima edizione, un non meglio identificato Alonso Fernandez de Avellaneda aveva pubblicato l'anno prima il Secondo tomo della vita dell'ingegnoso hidalgo Don Chisciotte della Mancia: opera di imitazione chiaramente non dovuta alla penna del Cervantes che proprio per la preoccupazione di vedere il proprio personaggio sfruttato da altri autori accelerò la scrittura della seconda e ultima parte delle sue avventure.

 


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 14:57

In entrambe le edizioni la vicenda ruota intorno ai viaggi nell'est della Spagna compiuti dal protagonista, Don Chisciotte appunto, che tre volte lascia il suo villaggio d'origine in cerca di imprese cavalleresche da compiere per emulare gli eroi di quella letteratura cortese della quale è da sempre avido lettore e che gli hanno fatto perdere la nozione della realtà, facendogli immaginare di essere egli stesso un cavaliere errante. Ognuna di queste tre sortite (salidas) ha proprie peculiarità: le prime due "uscite" sono contenute nella prima parte, l'ultima nella seconda parte.

 


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 14:58

Il romanzo inizia con la presentazione del protagonista, Alonso Chisciana, un nobiluomo (hidalgo) di campagna ormai cinquantenne, che vive in un piccolo paese della Mancia e che dopo anni di letture di libri cavallereschi impazzisce e comincia a pensare che tutto ciò che ha letto corrisponda al vero e che egli debba ripetere le gesta dei cavalieri erranti alla ricerca di fama e di gloria. Perciò si dota dell'armatura dei suoi avi (ma la sua visiera è di cartone), ribattezza il suo magro cavallo Ronzinante, sceglie per sé come nome di battaglia quello di Don Chisciotte della Mancia ed elegge a sua dama una contadina del luogo alla quale cambia il nome in Dulcinea del Toboso. Così dà inizio al suo vagabondaggio. Questa prima sortita solitaria è però destinata a breve durata, visto che, dopo qualche disavventura e una buona dose di legnate inflittegli da chi ha sfidato, viene ritrovato alquanto malconcio da un suo compaesano che lo riconduce a casa. Qui viene assistito dalla nipote, dal curato e dal barbiere, i quali, ritenendo responsabili della follia del loro amico i libri cavallereschi della sua biblioteca, ne bruciano la quasi totalità. Nel frattempo Don Chisciotte si rimette e si decide immediatamente ad una seconda uscita (capp. VII - LII); prima però si sceglie uno scudiero, un contadino del paese - Sancio Panza - attratto dalla possibilità di guadagni e dalla promessa di ottenere un'isola da governare. E così si forma una delle coppie più celebri della storia della letteratura: il cavaliere alto, magro e allampanato in sella al suo Ronzinante, e lo scudiero basso e tondo in groppa al suo somaro. Seguono alcune delle avventure più celebri del romanzo tra le quali la battaglia contro i mulini a vento, scambiati da Don Chisciotte per dei giganti e quindi sfidati a duello. Dopo una serie di comiche peripezie che li vedono quasi sempre avere la peggio, i due si dividono perché Don Chisciotte chiede a Sancio di recapitare una lettera d'amore a Dulcinea. Durante il viaggio egli però incontra il barbiere e il curato e gli rivela dove si trovi Don Chisciotte e insieme, attraverso uno stratagemma, riescono a riportarlo a casa.

 


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 14:58

La terza uscita di Don Chisciotte è al centro della seconda parte del romanzo, edita nel 1615. Al ritorno nel suo villaggio Don Chisciotte apprende che è stato pubblicato un libro che narra le sue avventure, ma le descrive in modo molto poco glorioso, ragion per cui il nobiluomo si decide ad una terza sortita proprio per affermare i suoi ideali di giustizia, di cortesia, di difesa degli oppressi tanto derisi nel libro appena pubblicato. Numerose vicende si susseguono, ma il nostro protagonista ha sempre la peggio, anche perché, oramai divenuto famoso, è vittima delle beffe di coloro che incontra e lo riconoscono come il folle che si crede un cavaliere errante. Motivo distintivo, infatti, della seconda parte del romanzo è il fatto che non è più tanto Don Chisciotte a trasformare la realtà secondo la sua immaginazione, quanto piuttosto i personaggi intorno a lui, incluso Sancio, a volerlo convincere a compiere stramberie per poterne poi ridere. Anche questa sortita si conclude comunque con un ritorno al villaggio, qui Don Chisciotte si ammala preso da una forte febbre che lo tiene a letto. La malattia lo rinsavisce, ma proprio allora muore.

 


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 14:59

Il Don Chisciotte è un'opera di una complessità straordinaria, sia a livello tematico che stilistico, e di conseguenza molte sono state le interpretazioni datene, anche di segno opposto tra loro. L'universalità dei personaggi creati dal Cervantes ha poi spesso indotto i critici a decontestualizzare storicamente il romanzo e a leggerlo quasi come opera loro contemporanea. E' possibile però ricondurre le varie analisi critiche fondamentalmente a due tipi di letture: da un lato quella "giocosa", il cui massimo sostenitore è forse l'Auerbach che nel suo Mimesis sottolinea come la follia del Chisciotte altro non sia che gioco, parodia, comicità, riconducibile alla follia erasmiana; dall'altro l'interpretazione "tragica", storicamente affermatasi durante il Romanticismo, che vede invece nell'hidalgo un campione dell'idealismo costretto a scontrarsi con una prosaica realtà priva di ogni eroismo. Ad ognuna di queste interpretazioni è possibile muovere delle obiezioni visto che in realtà entrambi i toni, quello della gaiezza e quello della melanconia, pervadono la narrazione e troppo riduttivo sarebbe cercare di affermare una visione critica definitiva; come per l'Amleto di Shakespeare continueranno a susseguirsi le più svariate letture.

 


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 14:59

Ciò che invece è importante sottolineare e verso cui dovrebbe concentrarsi l'attenzione del lettore, è la modernità stilistica dell'opera (il che spiega anche come mai il dibattito critico anche nel corso del Novecento si sia appassionato a questo romanzo), che partendo dalla letteratura cortese-cavalleresca, dalla letteratura pastorale, dal romanzo picaresco, dalla novellistica, abbia unito tutte queste esperienze per creare qualcosa di assolutamente originale ed unico, definito da molti come il primo romanzo moderno. La stratificazione dei piani narrativi, per esempio, con diversi narratori che rimandano l'uno all'altro: Cervantes dichiara infatti di rifarsi ad un manoscritto arabo di un certo Cide Hamete Benengeli per la narrazione delle gesta di Don Chisciotte, nella seconda parte del romanzo poi si parla spesso del libro pubblicato, nella finzione, sulle avventure dell'hidalgo e che lo mette così in cattiva luce, espediente attraverso il quale Cervantes non lesina critiche al libro veramente pubblicato apocrifo nel 1614 con protagonista il suo folle cavaliere. In proposito si è parlato di un vero e proprio gioco di specchi attraverso il quale viene demolita la concezione univoca della realtà, sostituita da numerose prospettive che ci forniscono un quadro sfuggente, contraddittorio, in eterno equilibrio tra reale, appunto, e irreale. Letteratura e vita, teatro e vita nel Don Chisciotte si mischiano: i mulini a vento diventano dei giganti, le locande dei castelli, i montoni degli eserciti nemici, etc. Ogni cosa può essere soggetta a diversi punti di vista, il che fa perdere chiaramente l'esatta concezione della realtà. Sarebbe così testimoniata dal Cervantes la crisi di fiducia del suo tempo nelle acquisizioni rinascimentali quali l'armonioso equilibrio tra la natura e l'uomo, la fiducia nell'agire umano guidato dalla razionalità. Nel suo romanzo regnano invece la confusione, l'incertezza, il disinganno: una "scissione tra coscienza e vita" che perdura ancora oggi e che rende il Don Chisciotte così attuale.

 


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 15:00

CULTURA
I mulini di don Chisciotte
Nell’età dell’oro non esistevano due parole: tuo e mio. Per questo tutto era pace. Oggi non è così. Bisogna raddrizzare i torti. Resistere agli orrori e alle ingiustizie. Attualità del cavaliere errante don Chisciotte che si batte contro le convenzioni e le maggioranze senza temere la sconfitta.

Angelo Reginato


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 15:04

Una bella notte, senza nemmeno dire addio, Sancio alla moglie e ai figliuoli, Don Chisciotte alla nipote e alla governante, uscirono dal paese senza esser visti da nessuno, e camminarono tanto che all’alba si tennero sicuri che, se anche li cercassero, non li troverebbero.
È da quattrocento anni che Don Chisciotte si aggira fuori dalle corti, senza che nessuno possa dire di averlo del tutto trovato. Per poterlo almeno incrociare, bisognerebbe rischiare di entrare nel suo mondo, provare a comprendersi davanti al testo, senza far tacere le domande che il nostro mondo ci pone, e in testa a tutte la domanda di pace.
Ma ha senso parlare del contributo che Don Chisciotte può offrire a una riflessione sulla pace? Non è contraddittorio appellarsi al cavaliere sempre pronto a combattere in singolar tenzone per riflettere sulle alternative alla risposta bellica? Certo, l’attualità ci mostra tutta una serie di spudorate appropriazioni indebite, come quelle esibite sul teatrino della politica nostrana: dall’arruolamento di S. Francesco all’uso strumentale della Scrittura. È un modo di considerare il testo come una miniera da cui estrarre ciò che serve ad avvalorare le proprie posizioni. Una lettura a proprio uso e consumo, incapace di un ascolto autentico in quanto preoccupata di cercare conferme a quanto si è già autonomamente deciso. Ma è possibile battere un’altra strada, rischiando di avventurarsi al seguito di Don Chisciotte, perdendo un po’ la testa anche noi, insieme a lui! Del resto la follia sembra essere ingrediente necessario di ogni passione forte: dall’innamoramento alla fede. E il prenderne consapevolezza mediante l’ironia del racconto permette una lettura in profondità di quello che siamo e di quanto speriamo.


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 15:05

Tuo e mio
I detrattori di Don Chisciotte – il curato, il barbiere, la nipote e la governante – attribuiscono la sua pazzia alla lettura dei romanzi cavallereschi, nel cui mondo il nostro cavaliere si sarebbe ingenuamente immedesimato. Anche loro li hanno letti e proprio per questo sono in grado di giudicare i libri pericolosi da quelli di semplice intrattenimento. In qualità di lettori-censori decidono di bruciare in un domestico autodafè i primi, pieni di bugie, di sciocchezze e di stravaganze, pericolosi libri-finestra che aprono lo sguardo su altri orizzonti. Salvano, invece, i libri-specchio, quelli che narrano storie vere, nei quali non c’è nessuna imboscata per il pensiero. Solo questi sono tesori di allegria e miniere di divertimento. Qui i cavalieri mangiano, dormono, muoiono nel loro letto.


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 15:05

Don Chisciotte, invece, è incapace di operare un tale discernimento, perché immedesimato nel libro stesso: per lui le parole e le cose coincidono. Praticamente tutti ironizzano sull’accecamento di Don Chisciotte, incapace di vedere che tutti quei racconti sono creazioni e invenzioni di ingegni oziosi, che li composero appunto per lo scopo di servir di passatempo a chi li legge. Su costoro i romanzi non fanno effetto, dal momento che sanno che non ci son più gli usi che c’erano in quel tempo, quando si dice che andassero pel mondo quei famosi cavalieri. Unico a scommettere sulla possibilità di considerarsi contemporaneo agli eroi di un tempo, Don Chisciotte fa propri gli ideali della cavalleria errante che tutte cose agguaglia. Nell’età dell’oro ignorate erano allora dai viventi queste due parole: tuo e mio. Tutto era pace allora. La giustizia se ne stava sicura. Ma nel presente occorre far fronte all’ingiustizia. Per questo fu istituito l’ordine dei cavalieri erranti: che le donzelle difendesse, proteggesse le vedove, e soccorresse gli orfani e i necessitosi di soccorso. Ministri di Dio sulla terra e strumenti per cui viene esercitata sovr’essa la di Lui giustizia. E così l’ingegnoso gentiluomo Don Chisciotte della Mancia, accompagnato dal suo fido scudiero, Sancio Panza, s’avventura senza indugio per raddrizzare i torti. Armato di questa passione, l’armamentario ridicolo di cui si dota serve unicamente per difendere chi subisce ingiustizia, per resistere agli orrori e alla confusione che porta con sé la guerra per tutto il tempo che dura e usa dei suoi privilegi e delle sue violenze. Niente a che vedere con la violenza offensiva delle armi moderne, come i cannoni: oh, benedette quelle età in cui non esisteva la spaventevole furia di questi indemoniati strumenti di artiglieria! Io per me penso che il loro inventore abbia nell’inferno il premio della sua diabolica invenzione!


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 15:06

Oltre le apparenze
Ma la storia, più che luogo di avventura, mostra il volto dimesso della quotidianità. Tocca, allora, allo sguardo trasfigurante di Don Chisciotte andare oltre le apparenze: tutto quello che vedeva, con la più grande facilità l’adattava alle sue fantasie cavalleresche e ai suoi erranti pensieri. In tal modo l’avventura diventa commedia, nella quale spetta alla dura realtà infrangere l’aura epica mostrando il volto nero della tragedia. Don Chisciotte la sperimenta su di sé, nelle battaglie perse, nelle ferite riportate; e la vede sul volto di chi vuole soccorrere: non so come lei faccia ad addirizzare i torti – dice un malcapitato spettatore di un’azione salvifica del nostro eroe – Me, di diritto che ero, m’ha fatto diventare torto… Che grossa sventura è stata per me l’imbattermi in lei, che va cercando avventure. Come dice Sancio: succede qualche volta di cercare una cosa e di trovarne un’altra.
Commedia e tragedia sperimentate da chi percorre la storia senza il privilegio di muoversi su corsie preferenziali. Su queste ultime si muovono i protagonisti delle numerose storie inframmezzate nel racconto delle avventure del Cavaliere dalla Triste Figura: anche se devono superare ostacoli e subire prove, le loro vicende sono a lieto fine. Racconti a loro modo epici, senza spazio per il ridicolo della commedia né per lo scacco della tragedia. E così succede che i presunti saggi vivano vite da favola, mentre tocca al pazzo avventuriero sperimentare le durezza e l’ironia della sorte!


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 15:06

Tra saggezza e follia
Misurarsi con il Don Chisciotte significa fare i conti con la storia ingiusta (arida come la Mancia!), con la forza dei propri ideali, e con le beffe ciniche di chi osserva con distacco e giudica come follia ogni impegno per la pace e la giustizia. Lo sguardo di Don Chisciotte si posa sull’ambiguità della vita senza farsene schiacciare; sfida le convenzioni e le presunte ovvietà; prova a tenere insieme, paradossalmente, passione e disincanto. Un’operazione a caro prezzo: come succede ai libri, così anche il nostro eroe viene ridicolizzato e neutralizzato in quanto pazzo. Eppure la sua follia ci può rendere saggi.
L’etica è un’ottica! Lo sguardo di Don Chisciotte resta prezioso per chi osa ancora oggi, ai tempi del “pensiero unico”, “sperare contro ogni speranza”. E, nello stesso tempo, non si limita al gesto epico del gran rifiuto e dell’attesa del sol dell’avvenire. La vita quotidiana richiede una sapienza che è fatta di astuzie, inganni, capacità di sopravvivere anche nei momenti difficili… Come dire: militanza della speranza e leggerezza della sapienza. Due ingredienti che, impastati con l’ironia, hanno la forza, ancora oggi, di far lievitare le sventurate avventure di tutti gli erranti al seguito di Don Chisciotte.
 


postato da Sergio Davanzo - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 15:07

GRAZIE SERGIO PER FARE "CULTURA" OLTRE CHE PITTURA!!!


postato da Puster - giovedì 12 novembre 2009 alle ore 16:15

espresso in una splendida sintesi, il tema del quadro fa sorgere lo sviluppo di una interessante serie di argomentazioni ! io mi immedesimo un po'nell don Chisciotte  e la cosa mi fa sentire frustrata, tuttavia credo sia perchè vedo che altri mi vedono così : fuori della realtà a combatere nemici imaginari e cause perse. Io però credo più alla mia percezione: questa società è una macchina mostruosa che ci usa e ci getta via. Oppure siamo tutti in gabbia, ma avere una gabbia dorata non mi consola!!!


postato da Paolanatalia58 - domenica 15 novembre 2009 alle ore 12:15

Dove sono i lillà?

E la metafisica coperta di papaveri?

Perchè la tua pittura non ci parla del sogno,delle foglie,dei grandi vulcani del tuo paese natio?


postato da Diego Totis - giovedì 19 novembre 2009 alle ore 20:37

verranno....verranno...mio giovane amico....abbi fede....verranno...


postato da Sergio Davanzo - giovedì 19 novembre 2009 alle ore 20:42

His name is Sergio Davanzo. Strong in expressing his thoughts but tender in cuddling his dreams, he shows you unsuspected and unexpected aspects of his inner self. Sometimes he reveals them slowly, step by step; sometimes he shows them off abruptly, with a touch of challenging scoff. He paints. He paints because of an unsolved mixture of reasons. He paints because he needs to. Because he wants to. He paints to play. He paints because he has to paint.

Several of his works are the product of a deep need to communicate. The need to go beyond the limits of human words, beyond time and space, beyond conventional shapes with the aim of creating new and better ones, more intensely beautiful, giving thus voice to his inner and more complex thoughts.

Other works issue from Davanzo’s mere, instinctive wish to let himself go to the poetical evocation of images and feelings he has seen and lived. This inevitably pursues the connivance of his spectators, who can see and perceive his same sensations, deeply feel them and, by feeling, revive them. The result is an amazing range of ways and synaesthetical contaminations, both of colour and matter.

In Davanzo’s modus operandi often a single idea develops into a theme. It expands itself, defining autonomously its own leit motives. They are varied and widened, offered in their most flattering nuances. The original idea then swells to its utmost and, finally exhausted, it blows up. It is a definite resolution. Therefore Davanzo’s works, which follow a common vein until it is exhausted, can mainly be contextualized in groups. But, once he has finished with a vein of inspiration, sometimes the painter has already found in its ashes the beginning of several new ones. Sometimes he would rather wait before letting them catch his instinct and his paint-brush.

This is the process of painting for Sergio Davanzo. His subjects are various and different. He wants to tell as much as possible. The faces, the voices of past and present time, the places which have seen him growing both as a man and as an artist. His dog. His family. Those who have gone. Those who still have to come. A wrinkle on a forehead. The hissing of a lathe in a work shop. A minimal kaleidoscope of images, epiphanic moments which he fixes on his canvas. And which, if necessary, he moves, as he usually says “to the space”.

Certainly the imaginative titles he gives to his paintings are part of his seriocomic way of living and conceiving one’s necessities. They are delicious, often sharply ironic, and at first they astonish you, to let you eventually deal with a wake of reflection, whetting you as the back-taste of rum in a just baked cake, the recipe for which has been written and performed by Sergio Davanzo just for you.

Prof dott Maria Sole Politti
 


postato da Sergio Davanzo - lunedì 23 novembre 2009 alle ore 19:36

"Le tele di Davanzo vibrano, si impongono con lo stridore delle pennellate, con le barricate cromatiche da cui fuoriescono filamenti elettrici che guizzano e avvolgono, creando una fitta e mutevole rete di energia. Nelle sue opere istinto e ragione rinunciano all'eterna lotta, per dar vita ad un dialogo serrato: il colore si tende nella spontaneità del gesto, si difende entro grumi di materia, si assottiglia ed incede leggero frammentandosi secondo ritmi musicali. Viene impastoiato, fatto fluire e nuovamente convogliato, cristallizzato e gocciolato, alleggerito e spinto oltre i confini del supporto per cercare nuove espressioni comunicative."

Prof. Lorella Coloni
 


postato da Sergio Davanzo - lunedì 23 novembre 2009 alle ore 19:48

" Las lonas de Davanzo envían vibraciones. Ellos se imponen con el chillar del golpes de pincel, con las barricadas cromáticas de lo cual evitan filamentos eléctricos que tiemblan y ellos enrollan la creación de un dolor agudo y la red mutable de energía. En su instinto de trabajos y razón abdican la lucha eterna para dar la vida a un diálogo cerrado: el color se extiende en la espontaneidad del gesto, esto se defiende en los grupos de material, esto cultiva incede delgado(fino) y ligero(de luz) la fragmentación sí mismo según ritmos musicales. Es encadenado, hecho para fluir y otra vez llevado, cristalizado y goteó, aliviado e inclinó sobre los confinamientos del apoyo a buscar nuevas expresiones comunicativas. "

Prof Lorella Coloni
 


postato da Sergio Davanzo - lunedì 23 novembre 2009 alle ore 19:54

C’è una prometeica forza nelle opere di Sergio Davanzo che riconduce, con la certezza del segno e lo schiaffo del colore, ad un confronto con la realtà che non conosce compromessi o debolezze.
L’artista non abbassa lo sguardo e davanti all’esistenza egli si assume il diritto di dichiarare la verità. Lo fa attraverso un linguaggio visivo essenziale, sintetico, corrosivo, violento, titanico, provocatore. Usa la titolazione dei suoi quadri come dei tazebao: sono verdetti che illuminano, parole che possono essere incipit quanto sentenza lapidaria su un argomento che la tela sintetizza in linee di immediata intuizione, con un uso dirompente dell’elemento cromatico, con tinte che acquistano voce. Davanzo riesce a far riecheggiare nel movimento dei suoi quadri le vibranti intensità del paradosso creativo, in bilico tra ragione e gesto puro ed istintivo, folgorazioni che sono rivelazioni e universalità
 

Prof Fabio Favretto
 


postato da Sergio Davanzo - lunedì 23 novembre 2009 alle ore 23:57

Io non mi definisco “pittore” ma scrittore di emozioni in pittura.
Io credo che si possa definire pittura “il fissare con i colori la luce che la nostra anima getta sulle cose”.


Questo lo hai detto tu!... ma se ti definiresti "un pittore" ed osservando questa tua opera... dove saresti, allora?

 


postato da Mabo - martedì 24 novembre 2009 alle ore 01:10

Incredibilmente vero il contenuto e molto chiara la rappresentazione. Bello!


postato da 8 - mercoledì 25 novembre 2009 alle ore 12:19

Maestro, complimenti per le tue bellissime Opere.


postato da Antonio Petacca - martedì 08 dicembre 2009 alle ore 22:20

Voto quest' opera perchè sono d' accordo con il contenuto (il titolo). Grazie per le tue preferenze per le mie opere; se sono sincere (ma penso che lo siano) mi incoraggia molto essere votata da te. Stefania


postato da Stefania Cattapan - venerdì 01 gennaio 2010 alle ore 19:35

 Ben rappresenti la società contemporanea il peso comincia ad essere veramente grosso.


postato da Pierluigi Cocchi - lunedì 19 luglio 2010 alle ore 21:55

a volte ti vien voglia di scendere..... poi ti accorgi che non conviene!  E' meglio rimanere in sella, combattere e ....assaporare la vittoria. "Buona strada" un augurio sincero da Adelia (Alias Lia- Treviso)


postato da Adelia Camarotto - domenica 13 marzo 2011 alle ore 22:44

..grazie Maestro...ho letto con grande emozione il suo commento...nessun critico avrebbe potuto inquadrarmi meglio...sono solo un autodidatta...questa sua opera sembra semplice....invece è un'equazione complessa che da un risultato semplice..l'energia è uguale alla massa per la velocità della luce al quadrato...ogni punto..ogni colore..ogni macchia, come dice lei, ha un senso...ha una ragione...lo so non dico niente di nuovo..la grandezza della sua Arte è, in alcune opere, rendere semplice e leggibile ciò che non lo è...e in altre rendere complesso ciò che per tutti è semplice e superficiale...ma naturalmente, per un grande Artista sensibile come lei, anche le cose semplici hanno una complessità da analizzare..(chiedo scusa per il mio pessimo modo di scrivere)

cordiali saluti e grazie
 


postato da Marcio - giovedì 07 aprile 2011 alle ore 19:03

Grazie Sergio...è un onore! La tua arte mi piace molto.


postato da Roberta Griffi - venerdì 08 aprile 2011 alle ore 18:57

Molto vero. Molto attuale. Molto espressivo.


postato da Berta - domenica 31 luglio 2011 alle ore 19:55

Molto attuale questo tuo lavoro. Certo non è un quadro ottimista ma, la vita e la società oggi è così.


postato da Sily - sabato 13 agosto 2011 alle ore 17:37

volevo sapere il prezzo della sua opera "Questa è una società che macina tutti i valori!" e le misure.

Grazie

Roberto


postato da Bobdiesse - giovedì 18 agosto 2011 alle ore 13:33

Bellissimo nella sua essenzialità questo lavoro. Bravo !


postato da Pam - lunedì 22 agosto 2011 alle ore 12:35

Continuiamo a combattere ... con aggressività e forza! Bellissima Opera.


postato da Lia Saccotelli - mercoledì 19 giugno 2013 alle ore 18:02

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Tutte le opere di Sergio Davanzo

  • Calendario 2013
  • Ho dato fondo (parziale)
  • feelings & feelings (frammento)
  • Omaggio ai tubisti
  • Strada di Bagdad con mimosa
  • Manhattan vista dal Bronx
  • volo radente
  • Tributo a Gaudì (frammento)(vedere il link postato nei commenti)
  • KRAKEN
  • Omaggio ai Tubisti (Pressfitting) alias "Quando Dio spartiva le tette...io ero in bagno..."
  • Non è la luce del Merisi...ma in tempi di crisi....
  • La mia vita è un lungo lato di Bolina! ( ...ci sarà mai un lato in poppa con tangone...& tanga?)
  • Il futuro è roseo, il presente...un po' meno...
  • Vedo smerciare miele di vipera, agito braccia di carta che il vento disperde.
  • Omaggio ai Tubisti (Aisi 304)
  • Il Delinquente (Lulu.com Editore)
  • CROSSING (Lulu.com editore)
  • Pensavo fossi morto....
  • LA MAFIA E' SOLAMENTE UN INSETTO: PUOI SCHIACCIARLA!
  • Questa è una società che macina tutti i valori!
  • Ciao
  • Cattredale Unica nello Spazio
  • Calendario 2010 Gennaio
  • Calendario 2010 Marzo
  • Calendario 2010 Ottobre
  • Calendario 2010 Dicembre
  • Calendario 2010 (Lulu.com) http://www.lulu.com/product/calendario/2010-by-sergio-davanzo/5949551
  • AUGURI....& che s'inizi ad intravvedere...il positivo!
  • Acqua Sporca
  • Solo Macchie?
  • In  /  ES    presso
  • COFFE TIME
  • Tributo a Jackson Pollock
  • Metropoli (serie Acqua Sporca)
  • COFFE TIME
  • Nel 2010 non si può
  • In  /  ES    presso
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