Primo istante La verità è illusoria. La realtà è acclarata. Il passato è assai stato indocile. Il presente è siffatto. La mia soggettività è stata deviata da un’infanzia scossa. Gli abusi precludono, rinchiudono in una gabbia. L'orco ha fottuto la mia sussistenza, non ho avuto scampo, un bambino è indifeso di fronte uno stupro. Ho implorato aiuto, non sono stato portato via, distante. Che cosa sopraggiunge se l’inferno sia già stato vissuto? Scalciato dagli avidi angeli del denaro fuori dal paradiso terrestre, sono spacciato. Ho visto scivolare un monopolio di speranze corrose in un ambiente impregnato d’opulenza, di ricerca singola e collettiva del potere, per dare metropoli, per costituirsi spazio nella società odierna. Sono germogliato comunque morto e lo sapevo. La bocca è stappata finalmente da plasticate labbra, allora fanculo a tutto ciò che sventuratamente ha celato l’autenticità. Figli di mignotta scoperchiate e ricreate la gerarchia che vi condusse sulla terra. Pezzenti nubifragi subissate i pozzi per abbeverarci. La vostra tempra è una stalla per scrofe, siete il dispregiativo della storia, delle lumache nelle aorte con coperte corte. Mi hanno violentato con collera, l’hanno attuato ripetutamente, continuando per anni senza avere un minimo di umanità. Chi ha subito un simile torto percepisce quanta afflizione si prova nel tentare di buttarsi tutto l’aspro alle ossute spalle. Eppure erano “amichevoli”, due persone di cui c’era di che fidarsi. In verità erano due magri suini pedofili, che hanno tessuto per anni la loro trappola, dove puntualmente terminavano in parecchi. Non c’è difesa nella melma delle periferie degradate e perfino chi finge di volersi prendere cura di te, è pronto ad abusarti. Uno stupro non lo dimentichi comodamente, ti braccherà in eterno, oltre il traguardo dei tuoi anni. Le radici del mio mostrarsi Sfasciano, crepano e torturano I miei ingordi intelletti. Quarto Istante Catapultato teoricamente in quell’onirica notte, dove ti ho scortato verso la mia dimensione: nella sala d’aspetto orfana di precari passanti, adiacente alla stazione dei treni. Ho imposto alla porta di sbottonarsi per farci sfilare dentro. Confessato tutto quel rancore portato a Dio, ho scrutato la città e il circostante, mentre ricusavo, hai tirato fuori due pennarelli dalla buffa borsetta e abbiamo passato tutto il lasso di tempo a decorare di disegni le pareti. Ci siamo aggrovigliati veementemente, posseduti senza pudore sulle seggiole, per poi scivolare via e correre tra l’asfalto di questi scemi marciapiedi. Fiamme e fuoco tra il nastro dei nostri estremi, non scordo il rincorrerti e mimare di non agguantare, fino alla piscina di quello sciccosissimo stabilimento balneare, dove buttandoti, sei riuscita a trascinare pure me in una folle condotta. Abbiamo ricreato ancora un tripudio di carnalità, la luna alta nel firmamento rischiara lo speciale volto, io assaggio l’infinito con un cucchiaio di orgasmi, vorrei rimanere in questi palpiti. Sonoro docile frantumarsi Decori le sensuali movenze. Il miele miete, ara e accompagna Il divino pulsare di ogni battito Quinto istante Oggi non è andata bene: Nel culmine non conosco più chi sono, ma il mio posto non è qui! Non comprendo cosa voglio e la vostra pietà è scialba. Nell’apicale rigurgito non ho nulla in cui credere. Mi spaccherei i denti lanciando la testa contro un pilastro di cemento armato. Basta, basta, basta… Lo getto in un vulcano di marcio quel sorriso ipocrita! Quindi le arpie hanno usato ressa sul ventaglio del nostro tuonare. Retroagiscono bestemmie mentre si fa strada a zig zag, tra quelle fragole cariate che ti donai, una bicicletta con sopra una vecchia bastarda. Il suo cane piscia insulti sugli alberi, la sua padrona è una bestia defalcante sguardi di sdegno, mentre io lacrimavo seduto su un compassionevole marciapiede. L’idioma del mio volto è quasi nascosto dal cappuccio di una felpa. Sgrano la visuale appannata, non ho una libbra di vitalità e mi accascio, loro tentano di prendermi e di tirarmi su, ma stanno sorreggendo un peso morto che si dispera come un cencio. Malandato vezzo di trasmettere e accogliere l’incompleto! Stai stuzzicando con vampate di metano e zolfo la mia fiamma, al fine di sprecarmi brevemente e senza ricordo. Dio, Dio mio, Dioooooo…Dio scendi qua e prendimi con te, perché non resisto racchiuso in una gabbietta da animali. Eppure ha strillato nel proscenio del mondo e rifiutato natali da una terra erotomane, Però non e' salvezza, si sbriciola. Settimo istante Bacio su bacio: Apparentemente stretto in quattro mura, seduto su una finestra tra il fumo delle nostre sigarette, scruto intanto che riposi. I lenzuoli infami nascondono la magnificenza mentre dormi, quasi se volessero farmi un torto, "stai con me" sussurri nel sonno. Nel lindo non ho tessuto attese, invece cazzo ci sei. Sto pregando per te, anche se non credo, ti esamino e sorridi finché giri ripetutamente nel letto i sospiri. Sembri felice ed è stupendo, sono ottuso e fingo di non conoscerne la radice. Per te ho giurato, niente è stato impossibile assieme. Ricordo: La carne mulatta, le tue braccia, il tallonare per strapparti un amplesso, il tuo seno ingombrante, la bellezza ritratta con maestria, il liquore spillante. Con il primo stipendio ho comprato un anello di oro rosa, arrivato sotto la finestra della stanza da letto, con tre improbabili musicisti raccattati per strada, ho stornellato una serenata di altri tempi. Ci siamo divertiti come dementi, però sono stato indubbiamente troppo cretino. Ho preparato la cena, poiché volevo cucinare almeno in una circostanza per te, ho allestito uno schifo inaudito e siamo fuggiti a mangiare fuori. Ho posto un grande sasso sull’amore. Nono istante Durante siffatti biechi concetti, l’unico a dedicare concentrazioni al mio sfacelo è il genitore cielo, il quale azzarda un obbrobrioso monologo, invece di regalare spiegazioni: "Resto comodamente certo, che innegabilmente, per un reietto entrare a far parte della società, è più utopico di pretendere di scivolare via dagli strazianti cieli uccisi. Capisci? Eri seduto su una cattedra di miseria, implorando dagli ingressi di vetro un aiuto, oggi deporti nell'inferno miriadi di lacrime. In fondo, però pochi ricorderanno di te... " Ma che cazzo dice, questo stronzo! Nel modo in cui le uova assorbono atomi di calore, come le lampadine covano frammenti di bollore, l’assoluto disserra astratte simulazioni in mortali che smarriscono l’attitudine del fosco, l’assoluto schiava illogiche macchinazioni in uomini che perdono l’abitudine dell’oblio. Da un’idea di gentilezza, capelli sistemati e buffi baffi, a uomini neri che mangiano bimbi. Individui e azioni scavano più di altre, s'infilano sotto di te, depauperando il secondo: La tecnica per avvicinarsi era quella di spacciarsi per fotografi, interessati a foto d’incanto infantile, promettendo. Sgomitano in un presente tautologico per rammentarti di esserci: Picchiato nel letto con una spranga di legno non parlo, li ignoro mentre fremono per cavarsi dalla libido ogni desiderio. Il disagio fa proseliti, spreca, impreca, li ripudia in seta: Un rompighiaccio e delle manette sulla scrivania, il seme della follia inizia a germogliare nella loro mente, cominciano ad avere fantasie sessuali molto violente, estreme. Non rido, ingoio, straziano: Drogandomi per poi violentare con il controllo assoluto e totale il corpo inanimato. Era ieri, l'altro ieri: infilano aghi nello scroto, frustano, costringono. Qui per non farcela: ammanettano e usufruiscono. Eventi reputati distanti dal nostro sistema relazionale e in realtà ben visibili, sconvolgono giacché spesso ci appartengono. Albe viste da solo o meglio disprezzate In malinconia di te identico, devastano nella tua quarantena e purtroppo tramonti. Dodicesimo istante Tentacoli cingono con veemenza le sentinelle del mio olfatto, ti annuso. Sniffo, assorbo e prosciolgo senza successo quello che sei per me: un resoconto plasmato da confusioni, slanci, paure, tonfi, fragori, rabbie, sconquassi, affetti, delusioni, fierezze, perdoni, dialoghi, tentazioni, ossessioni, magrezze, tenerezze, pressioni. Troppo per essere godibile. Sciupati tra quelle vie di Ferrara con biciclette scassate, mentre ci affrettiamo per trovare una farmacia, per il tuo compleanno il regalo è una mostra al Palazzo Diamanti. Ricordo dell’interromperci davanti all’opera di Klimt e rimanere senza proferire. Affabilmente sorrido sornione e tasto la lana nei tuoi capelli neri, è qui il soave, sulle tue labbra. Aiutami a sanare desideri ancora in gioco, intuisci i quesiti domandati tra i mille spiriti, ho necessità di un bacio sulla fronte per placarmi, ti voglio. Il brivido scia fra la pelle e lamenta il divorzio con l’ardente, la pelle d'oca come valanga si accoccola sui tuoi capezzoli, come? A Ferrara in quella stanza d’albergo. Alberi seminati O meno segregati In compagnia di te stesso, Ubicano nel tuo sterco E cretino tramonti. Morderei le mie unghie piene del grattar via le ferite, perché l’incidenza sugli eventi è equipollente alla discrezionalità concessa nel girare la ruota della fortuna. Passa un altro minuto numero di questo miserando novembre, in cui il calendario espone impietosamente la cadenza, nella quale i suoi santi s’impigliano. Nelle settimane trascorse a farsi del male, ho un buco nel petto malandato, dove l’ansia accondiscende a qualsiasi mania, quando si compirà? Novembre porterà lontano da me gli occhi, dicembre sarà un arsenale di malattia, gennaio apparirà nella depressione. La chiamano così mentre mia moglie mi guarda soddisfatta e ride, ignorando che questa patologia ho forato le mie membra, più vi sfuggo e più mi acciuffa nella consapevolezza di star perdendo. Quel che resta dell’orgoglio preme per avere finalmente gioie, ma ho timore che sia ancora utopia. Quindicesimo istante Ecco inaspettatamente subentrare furore. Afferrò con decisione lo strumento da utilizzare per rendere irreversibile la già interpretata tragedia e dopo ogni azione c’è la fine. Scusa a tutti e a tutto, eppure ahimè è così: nella palude caliginosa la vita è spietatamente spazzata via. Questa mancata simultaneità è uno straordinario slancio interiore, costruito grazie all’abilità dei dipinti di rendere forma, consistenza e splendore, contributo reso ancora più importante nel dare un volto, un’immagine o paesaggio alle pronunce struggenti. Pare evidente quindi in che norma io sia un impotente. Potrei continuare all’infinito nel parlare delle cose che ho composto, mi permetterei di rubare un po’ più di tempo, però chiamano... Cosi insicuro sei, Cosi insolido nell'incerto, Cosi insipido nel porno. Tu mi appartieni, sei stata la mia troia e ti ho scopato. Mi spetti.