Fulvio Leoncini

Fulvio Leoncini Fulvio Leoncini
Santa Croce sull'Arno (PI)

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03/01/2018
Categoria: Pittori

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Data di nascita: 21/05/1960
Residenza: Santa Croce sull'Arno - PI

 "Si racconta che in vecchiaia, dopo un ictus, Ardengo Soffici un giorno si sia visto allo specchio e abbia mormorato: “Che schifo”. Il giorno dopo era morto. Forse era passato dall’altra parte dello specchio. Perché lo sguardo di un artista vive nel discrimine tra la vita e il suo opposto; tra il qui e ora e il dappertutto e in nessun posto. L’artista ha negli occhi la morte e celebra, in qualche modo, la vita. Fulvio Leoncini dipinge la follia. Non solo questa, di essere artista, ma anche quella “vera”, di chi soffre rinchiuso e nascosto nella propria mente. Dipinge i sogni, i desideri; dipinge le assenze, i fantasmi della storia e della memoria.

 
Fin dalle sue prime esperienze espositive, è stato chiaro che l’artista si stava radicando in una sorta di denuncia esistenziale avendo chiaro che il nostro tempo è, non solo per la sua opera, un involucro che tutto contiene e annulla. Dunque, negli anni ha trasportato ogni storia in un corpo e ha dato un corpo ad ogni storia: possibile che in lui resista l’illusione di salvare qualcosa o qualcuno con una presa di coscienza univoca, attraverso una pittura di contenuto che contiene pittura? 
 
Per questo, merita leggere con attenzione la serie di opere “Elettroshock”, creata dopo la visita di Leoncini all’antico ospedale psichiatrico di Volterra (1888 - 1978) che custodisce ancora le tracce di esistenze tormentate, e, a parte, i documenti, le attrezzature e il corpo epistolare dei degenti (lettere conservate nelle cartelle cliniche e mai spedite). In quest’operazione, l’artista perde la “giusta distanza”, ovvero il ruolo di osservatore, e precipita, appunto, in un vortice di dolore dal quale si può riemergere solo con un atto creativo. Dipingere, quindi, rivendicare all’arte le sofferenze umane che finora erano state relegate alla cronaca, alla storia minore. L’ impianto della pittura di Leoncini, che potrebbe dirsi informale, conduce a un unico esito espressivo le due direttrici principali su cui si è sempre svolto il suo lavoro: figura e materia.
 
Tuttavia, il quadro non si disperde in accumuli di colori-materia, è fittamente elaborato secondo un ductus espressivo che ha radici proprio nel lavoro giovanile dell’artista, nel suo segno che fluttuava alla ricerca del corpo dell’immagine, creando embrioni di figure in inquieta relazione con lo spazio. Adesso la parola scritta diventa segno, traccia, e il segno è una lacerazione, e la figura un’ombra, una memoria di vita. I dipinti di Leoncini sono storie senza descrizioni, come arrivate al cuore del non detto. Una sensibilità schiva, la sua, che si esprime in trame grafiche dal ritmo controllato, mai uguale; uno stupore quasi timido che sollecita accensioni di luce, bianco-nero, come di una lampada che oscilla nel vuoto a scacciare, a tratti, il buio di una stanza." 

Dal testo critico: "Elettroshock, la memoria al negativo", di Nicola Nuti
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