Commenti sull'opera Omega Ghost Untitled Project:

 testo critico _ Circolo Culturale Bertolt Brecht Milano
Ω: Ghost Untitled Project.

Lo sguardo a terra e il rumore delle suole sull’asfalto, il ricordo onnipresente delle passeggiate milanesi, un pensiero al ritardo, uno al tempo e un altro alla lista di impegni che ci aspetta. Michele Stillitano ci restituisce, almeno in parte, la capacità di stupirci, di alzare lo sguardo dalla grigia monotonia delle strisce pedonali, del marciapiede, del pavè stradale per regalarci un frammento di visione: la capacità di rivedere la realtà in modo nuovo, la contemplazione innocente della monotonia.
In principio l’osservazione è tutto, così come la ricerca della verità nasce da uno spirito pronto a stupirsi, curioso. Lo sguardo si sofferma sul mondo esterno, schiudendosi alla destabilizzazione che comporta; individuando una forma nella normalità. Ecco che il celebre Disco di Arnaldo Pomodoro, ignorato dalla maggior parte dei passanti di Via Lanza e Foro Buonaparte diviene oggetto di uno studio spasmodico, di un’osservazione attenta e sofferta. L’occhio della macchina fotografica compie il secondo ciclo di osservazioni, coglie le fratture e gli spazi, i momenti di respiro e le superfici lineari. Successivamente attraverso il materiale raccolto, al pari di uno scienziato, l’opera viene sezionata e suddivisa, catalogata in forme primarie, trasformandosi in materia “altra” sostrato di base da cui partirà la vera ricerca artistica e la parte di lavoro di più complessa realizzazione. Come l’impasto dei colori sulla tavolozza Stillitano, utilizza l’immagine fotografica piegandola al proprio sentire e imprimendo all’immagine la propria sensibilità. Innanzi tutto il colore si afferma con violenza, disputa l’oggetto alla realtà fotografata, strappandola dall’atmosfera ed estraniandola dal contesto, la ricerca cromatologica diviene movente importante, il primo imporsi dell’anima artistica. Individuato l’oggetto, gli interventi dell’artista si trasformano in mani che modellano, plasmano, sciolgono le forme; al pari di uno scultore Stillitano reinterpreta la fotografia, divenuta cera e gesso, bronzo e pietra, materiale e volatile: allo stesso tempo effimero e greve. L’immagine si libra convulsa ed impaziente, estrema e ridondante in un gioco alchemico che Stillitano non ha ancora concluso e che probabilmente ci riserverà nuove sorprese.


postato da Michele Stillitano - mercoledì 24 marzo 2010 alle ore 10:45

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