Sovrapposizioni e trasparenze

Segnalato da Luciano Borin

Luciano Borin

Categoria: Mostre

Data: dal 21 marzo 2015 al 30 marzo 2015

Indirizzo: Via delle Torri n° 23

Provincia: Firenze

Orario di apertura: 16:30 - 19:30

Sito internet: www.lucianoborin.it

E-mail: borinluciano@gmail.com


 Luciano Borin. Il 'bello' che non salva ma ci fa riflettere

Già nel 2003, parlando delle opere di Luciano Borin, osservavo come, ad una prima e superficiale vista, queste potessero apparire semplicemente iperrealiste. Nulla di più errato. La precisione dei personaggi (quasi acribia anatomica) ed i colori luminosamente realistici, infatti, non disvelano gelide impressioni 'fotografiche' di asettiche nature 'morte'. La sua pittura si configura come un'introspezione ed un'impietosa analisi della società moderna, dei suoi miti consumistici e della crisi esistenziale della coppia, più latamente degli interi e complessi rapporti umani. Istantanee colte nella vita comune di tutti i giorni, in quel ripetersi monotono di gesti e di azioni che immortalano il divenire del quotidiano. Sia che si tratti di amiche che vanno in giro per lo shopping, sia che si tratti di donne 'insignificantemente' qualunque in fila alla cassa di un supermercato, di coppie mature o di turisti, il suo 'resoconto' diviene denuncia di quella solitudine moderna pur nello stare fisicamente insieme, di quell'eutanasia dell'amore dissolto dalla routine, della ricerca spasmodica di fuggire nel divertimento e nella vacanza, rimanendo sempre interiormente insoddisfatti e gelidamente non coinvolti neppure dalla bellezza dell'arte e dei monumenti ('consumati' come prodotti industriali di un fast food, divenendo 'droga' che stordisce, spersonalizza in un'atarassia senza gioia né conoscenza vera).
E proprio questo sorprende: al di là della precisione fisionomica dei personaggi, quasi ritratti (quindi specifici 'individui'), in realtà la sua 'gente' è gente senza volto, pianificata in una perversa fabbrica globale di automi alienati ed alienanti. Attratto concettualmente dalla moltiplicabilità 'anonima' dell'immagine, per altra via rispetto a Renato Mambor, egli persegue una sorta di 'campionatura statistica' di uomini, per poi giungere ad illustrazioni di azioni e di 'verbi' elementari e quotidiani (camminare, fare la spesa, prendere il sole, stare seduti, fotografare, ecc.), attraverso una voluta e lapalissianamente esibita neutralità di giudizio, che è conseguenza del rifiuto di considerare l'artista come un individuo privilegiato nella società umana. In un certo qual senso, proprio come Mambor (il grande artista della Scuola Romana recentemente scomparso), per Borin l'arte serve a pulire lo sguardo, renderlo luminosamente cristallino, superando i puri sensi offuscati dalle abitudini e dai pregiudizi, che sono un filtro davanti agli occhi e ci inducono a vivere in un mondo stereotipato dal quale indirettamente e quasi inconsciamente il pittore ci invita ad uscire. L'arte, in tal modo, senza enfasi apologetica, insinua un cuneo in questo meccanismo spersonalizzante. Bisognerebbe iniziare a guardare le opere di Borin a palpebre chiuse, cosicché una parte di noi guardi prima dentro noi stessi per uscire dal conosciuto scontato e banalizzato. Immagini come riportate all’interno di una poetica del segnale riformulata mediante un'analitica sensibilità pittorica.
Alla psicologia della percezione dell’'osservatore' fanno riferimento i suoi perfetti nudi di donna veduti da anodini uomini astanti, che contemplano, freddi e distaccati, la bellezza femminile, come critici d'arte di fronte ad un quadro. Giovani donne, belle e sensualissime, svelano tutte le loro ‘nudità’ luminose e minuziosamente descritte, come sotto i riflettori di un fotografo della moda o dell’eros. La figura dell’uomo, quando vi compare, è sempre di corollario, denunciando una profonda incomunicabilità personale, congelata in un estetizzante distacco emotivo. L'uomo è visto di fronte, vede ma in realtà non guarda in profondità, è come fosse ritratto di spalle, invitando - al contrario - il 'ri-guardante' ad esplorare coscientemente l’atto stesso del vedere. L’universo femminile contemporaneo è descritto in tutti i suoi contraddittori aspetti: seduzione, romanticismo, snobismo, solitudine, cinismo, rabbia, maternità, ‘volgarità’, ingenuità, liberazione, intellettualismo, desiderio, con una componente fortemente dominate e felina (cui il simbolo ricorrente della presenza del gatto vicino alla donna fa esplicito riferimento). Ciò che Borin pare voler dire attraverso questi pretesti visivi (pseudo-ritratti, ma in realtà immagini di donne inesistenti, non vere modelle in carne ed ossa, al di là di quanto l'impeccabile tecnica possa farci credere) è che la pittura non ha il dono della verità assoluta né quello di dare giudizi o soluzioni ai problemi dell’uomo e della società, ma può dare indicazioni, far luce, porre velati interrogativi all'interno delle nostre coscienze assopite. La ricerca del vero è un’esperienza che deve essere lasciata 'decantare', per poi essere recuperata al di là dei codici preconcetti.
Borin ci parla di 'luce', di 'pulizia' dello sguardo, di coppia e di rapporto uomo-donna, invitandoci a credere nell’importanza quasi demiurgica delle relazioni umane, senza le quali il mondo non potrà sussistere che come volgare e asettico automa.
Se un insegnamento un artista può darci, è solamente quello di fornirci una nuova prospettiva sulle cose e sulla società, sul mondo tangibile e non, di donarci una problematica panoramica 'sghemba' sulla vita, non più omologata, né arresasi al pragmatismo cinico della massificazione dei prodotti e dei cervelli. Questo punto di vista 'sghembo' sull'esistenza umana e sul mondo che ci circonda, questa visione 'altra' dal perbenismo borghese del luogo comune, che si esplica come in un'accademica visione a prospettiva centrale, pare simbolicamente e psicologicamente sottolineata dalla dimensione strutturale-compositiva del quadro nel suo complesso, che supera quella coloristicamente e staticamente pseudo-iperrealista dei singoli personaggi nelle ambientazioni che li circondano e, appunto, li 'inquadrano'. Una scomposizione fantastica dell’ambiente, una sorta di riconciliazione, o meglio di connubio, tra verismo ed astrazione. Così, le frantumazioni di superfici e di spazi in cristallografiche forme geometriche richiama alla mente le grandi correnti del Novecento avanguardistico, dal Futurismo con le sue ondulazioni vorticosamente dinamiche al Cubismo e ai sui segmenti ad incastri di piani antiprospettici. I paesaggi, gli interni divengono evanescenti e si ‘intersecano’ con le figure in una sorta di sovrimpressione fotografica che crea una specie di fantasmi immateriali e diafani, che si mescolano, si confondono, si giustappongono, creando un'entità a più livelli diacronici, diversa da quella cosiddetta oggettiva dell'azione sincronica della quale sono nebuloso specchio, come una realtà 'astratta' nei ricordi che sbiadiscono e nei sogni freudiani della mente umana (da qui il titolo della mostra, Sovrapposizioni e trasparenze, con ambiguo e ammiccante riferimento alla tipologia pittorica di Borin e al significato semiotico sotteso).
Una pittura figurativa 'bella' da guardarsi, ma che ci invita sulla strada di quel 'vedere' che parte dall'interno di noi e ci conduce verso i sentieri di un'arte che dovrà necessariamente incamminarsi - se vuole sopravvivere alle mere 'masse in scena' di 'quadri' stereotipati, scontati e oramai già veduti fino alla noia - verso il superamento fra astrazione e realtà, fra una tradizione spesso popolareggiante ed oleografica ed un'oramai obsoleta 'rinnovazione' solo apparentemente 'sorprendente' e gestualmente pseudointellettuale, spesso ancora ancorata ad un superato neodadaismo o ad un minimalismo propri del secolo scorso.

Giampaolo TROTTA



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