Le storie di vita e paradiso

Segnalato da Cristiano Arcadi

Cristiano Arcadi

Categoria: Mostre

Data: dal 13 marzo 2010 al 11 aprile 2010

Indirizzo: via San Lorenzo 13

Provincia: Firenze

Orario di apertura: 10:00 - 17:00

Sito internet: www.sonjalucien.com

Referente: sonja Lucien

Per informazioni: +39 348 454 5830

E-mail: artist@sonjalucien.com


Della Morte e della Vita, della Notte e della Luce.
L’universo pittorico, poetico e concettuale di Sonja Lucien

La Lucien ci conduce, con i suoi disegni a matita e a sanguigna, con i suoi acquerelli monocromi e policromi, con le sue tele incendiate di colore, lungo i sentieri dell’anima, a riscoprire il senso vero della vita. In questi suoi paesaggi fantastici, come di fiabe per adulti, compaiono i segni di incubi interiori (scheletri, draghi, esseri mostruosi) che ogni uomo porta in sé e cerca di esorcizzare, ma che sono anche la cosciente consapevolezza della caducità delle cose, dell’origine umana dalla polvere della terra, della vanità del tutto. Proprio partendo da tale presupposto, però, quando l’uomo si spoglia delle sue certezze, si libera dalla tentazione ‘demoniaca’ di contare solo sulle proprie forze, quando si fa ‘fallimento’ e nullità, ecco che nel buio, inerme, scopre una luce interiore che si accende improvvisa: luce di Amore che lo conduce al suo vero destino di immensità. Allora, superstite di un naufragio, sopravvissuto ad una nave che non c’è più, perde l’angoscia di sentirsi solo in universo senza Dio e riscopre il senso profondo della Trascendenza. La Notte si perde nella luce dell’Alba che dissolve le ombre allungate e colorate, che si proiettano lateralmente, in alcuni acquerelli della Lucien, a raccogliere figure deformate come i sogni.
Le opere della pittrice (e poetessa) possono piacere o non piacere, affascinare per la ricerca tormentata della Luce o incutere angoscia per la loro disincantata e cruda meditazione esistenzialista, essere accettate o respinte, ma mai passare inosservate o anonime.
Nelle gestuali pennellate ocra-guizzanti dei suoi acquerelli la Lucien introduce scheletri terragni e teschi dalle orbite come allucinate in turbinii angoscianti ed interiori, fragili ‘gusci‘ di barche alla deriva in mezzo alla tempesta degli Inferi, ma che divengono ancore di salvezza e di rifugio evangelico, poi fa scaturire figure che si librano nell’aria in voli eterei, racchiusi e abbracciati in mandorle dell’Amore, come in Paradisi danteschi interpretati da Doré. Ricorrente la spirale, il cerchio, la sfera, il centro luminoso, l’uovo di vita attorniato da arcobaleni concentrici che scompongono la luce, come in mandala occidentalizzati. Figure talvolta minutissime e piccole come miniature, che si nascondono e si intravedono nelle masse cromatiche informali, come gemme incastonate e riservate solamente agli eletti che sanno guardare ‘dentro’.
Dalla morte alla vita, dalla miseria alla vera ricchezza, attraverso bambini poveri e derelitti di altri tempi, scheletri accovacciati come riemersi da eruzioni vulcaniche pompeiane, madri amorose che allattano la nuova creatura, perennemente rinascente nel ciclo eterno della vita che si rinnova. L’uomo, così, si rialza, non per le sue forze, ma per l’aiuto dell’Angelo e la regalità vestita di abiti tratti dal Seicento nordico va verso la Luce, tra madonne e prelati, mentre gli scheletri tenebrosi si fanno da parte oppure nel Bacio può ritrovare spazio la comunione fedele della famiglia e dell’umanità con il cane, il lupo mansueto, la natura francescana. Pace della donna che allatta il figlioletto, abbracciata dal cerchio angelico dell’amore, quasi come in certi monumenti sepolcrali dell’Ottocento romantico, “tuoni di bianco silenzio”, come li definiva la poetessa Elizabeth Barrett Browning (sepolta nel cimitero fiorentino degli Inglesi) nel suo sonetto “La schiava Greca” ("The Greek Slave"), ispirandosi all’opera marmorea più famosa dello scultore Hiram Powers.
Figure di Giovanna d’Arco dai simboli esoterici ed ermetici di una sapienza medioevale, Luce filosofica neoplatonica accompagnano il viaggiatore nel sogno simbolista della vita, tra bolle magiche, vere e fragili come l’intuizione escatologica della Trascendenza attraverso un universo saturo di allusioni cosmogoniche, blu come la notte, ma irradiato di rosso-dorato come la Luce della Genesi che irrompe nello spazio vuoto e buio, come un’allusione essenica e giovannea.
Queste opere, dall’impeccabile segno che rivela una profonda preparazione ‘accademica’ ed una conoscenza approfondita della storia dell’arte, sono pregne della cultura nordica e, segnatamente, fiamminga e forse, non a caso, possono avere un nesso simbolico con la sede nella quale vengono per la prima volta esposte, cioè il complesso fiorentino di San Lorenzo. Infatti, come si sa, quando Michelangelo, su incarico affidatogli nel 1523 da Clemente VII, progettò la famosa Biblioteca Laurenziana, nello splendido organismo rappresentò umanisticamente l’ascesa in chiave neoplatonica e ficiniana alla Luce e alla Pace del Sapere attraverso l’ombra ‘notturna’ del ricetto (il vestibolo-caverna) qualificato da quelle lesene con il motivo del pipistrello nei capitelli (del 1526), un “ordine della Notte” forse desunto dalle Istruzioni del Dürer risalenti all’anno precedente. Un percorso simile, dalla Notte alla Luce, è quello attraverso il quale ci ha condotto la Lucien nella sua mostra nei sotterranei brunelleschiani del complesso museale di San Lorenzo.
La Lucien si sente ad un bivio, al crocevia fra il passato e il futuro, fra le generazioni passate e quelle a venire, e parla con la ‘lingua’ in cui crede. Nelle sue opere più vere possiamo ritrovare tutto l’universo pittorico – italiano e nordico – che ella evidentemente ama: da Masaccio a Raffaello, a Giorgione, da Hans Holbein a Rembrandt, a Goya, da Bruegel, a Bosch, a Dürer, fino al romanticismo simbolico tedesco di Gaspar David Friedrich e alla sua mistica della natura. Ma tutto questo diventa spontaneamente il suo linguaggio, un linguaggio nuovo e modernissimo, diluito in un’ambientazione informale e gestuale dalle luminosità di un William Turner, duttile e postmoderna. L’ecces¬so di accademia manierata manca assolutamente alla Lucien, perché lei dipinge per necessità e urgenza interiore, là dove scatta la ‘simpatia’ con certi testi pittorici, non per scontato mestiere. Quel¬la della Lucien è una pittura in cui la vita si illimpidisce e diventa trasparente. Dove le pennellate suonano più intense è quando lasciano risuonare senza interferenze, pura, la voce della loro autrice, serbando una fede profonda nel verbum pictum: tanto più forte e incrollabile quanto più circondata dal silenzio, da quel silenzio che avvolge i suoi personaggi surreali, o meglio continuazione surreale del concetto stesso di Umanità.
Giampaolo Trotta

 



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