Commenti sull'opera Non è la luce del Merisi...ma in tempi di crisi....:

SEMPLICEMENTE SPETTACCOLARE!!!!

SEMPRE MEGLIO.... STEFANIA CASULA


postato da Casula Stefania - lunedì 05 ottobre 2009 alle ore 14:50

Nel CD dei Bubamara ( gruppo di Treviso) intitolato "Le Feroci danze" c'è un pezzo a me particolarmente caro : "Caravaggio"

Per ogni giorno che ho trascorso nel vino
Col pugnale appoggiato vicino
Di più ad ogni sorso
Per quel facile taglio di luce che non da pace
Il talento che ho dentro che brucia
E non mi da pace.
Ho dipinto puttane belle come madonne
E straccioni ubriaconi violenti erano i santi
Nell’abbaglio feroce di luce
Che non mi da pace
Il talento che mi brucia dentro
E non mi da pace
Sono spesso fuggito
Ferito a sangue d’orgoglio
Del colore che dio ha preferito
Per questo suo figlio
Per lo sbaglio negli occhi di luce
Che non da pace
Ed attorno soltanto la notte, la notte feroce
Sono in viaggio verso un anello ed il perdono
Solo in viaggio per un anello ed un inchino
Ed un taglio che brucia feroce qui nel torace
Una voce che grida non tace e non mi da pace.
Per questo giorno che ho trascorso morente
Col pugnale distante in morso
Di tela e di niente
In un docile pugno di luce che non da pace
Adesso adesso che finalmente il perdono sarà.

Parole: Alberto Cendron
 


postato da Sergio Davanzo - lunedì 05 ottobre 2009 alle ore 18:06

www.libreriauniversitaria.it/libri-autore_davanzo+sergio-sergio_davanzo.htm


postato da Sergio Davanzo - martedì 06 ottobre 2009 alle ore 09:06

L'immagine di Caravaggio che la tradizione ci ha consegnato è racchiusa in una figura che incarna perfettamente il mito moderno dell'artista, quella del genio moderno, dall'animo profondamente inquieto destinato a vivere in isolamento la fedeltà a sé stesso e a pagare a caro prezzo la libertà della propria visione e del proprio modo di intendere l'arte della raffigurazione. A questa rappresentazione hanno contribuito sicuramente le burrascose vicende che hanno animato la sua tormentata esistenza: l'omicidio, commesso durante una rissa, la sua fuga in pellegrinaggio per l'Italia e infine la morte disperata, in cui la leggenda ha preso il sopravvento, su una spiaggia toscana, dopo avere ottenuto il perdono papale per l'omicidio commesso. Ma sarebbe fuorviante scindere la vicenda umana e psicologica di Caravaggio dalla poesia e dalla carica rivoluzionaria del suo percorso artistico.

Uno stile pittorico, segnato dalla forza drammatica del suo realismo, dalla capacità unica di coniugare realtà e verità attraverso l'uso particolare della luce. La luce penetra gli ambienti avvolti da profonde zone d'ombra, esaltando la tensione dei movimenti, rivelando i sentimenti delle figure umane, immersi in uno spazio non astratto, ma quotidiano. Luce che è, allo stesso tempo, reale e divina, che si sottrae e, sottraendosi, mostra nei corpi e nei volti un'umanità non fantastica e idealizzata, ma viva, e, dunque, tragica.

Ed è proprio nella condizione tragica che la vita e l’arte di Caravaggio trovano il loro punto di raccordo e ci restituiscono l'immagine di un artista moderno in senso pieno. Possiamo aggiungere, poi, che è in virtù della stessa condizione che l'opera di Caravaggio ha inciso così profondamente nella cultura italiana da consentirgli, a quasi quattrocento anni dalla morte, di mantenere quasi intatta la sua carica rivoluzionaria e di rinnovare, come per incanto, la sua capacità di stupirci.

 


postato da Sergio Davanzo - venerdì 09 ottobre 2009 alle ore 22:16

Il Caravaggio ha inventato:

 primo: un nuovo modo che secondo la terminologia cinematografica si dice profilmico, intendo con questo tutto ciò che sta davanti alla macchina da presa: il Caravaggio cioè ha inventato tutto un mondo da mettere davanti al cavalletto nel suo studio: tipi nuovi di persone, nel senso sociale a caratteriologico, tipi nuovi di oggetti, tipi nuovi di paesaggi.

 
Secondo: ha inventato una nuova luce: al lume universale del Rinascimento platonico ha sostituito una luce quotidiana e drammatica. Sia i nuovi tipi di persone e di cose che il nuovo tipo di luce, il Caravaggio li ha inventati perché li ha visti nella realtà. Si è accorto che intorno a lui - esclusi dall'ideologia culturale vigente da circa due secoli che erano uomini che non erano ore del giorno, forme di illuminazione labili ma assolute, che non erano mai state riprodotte e respinte sempre più lontano dall'uso e dalla norma, avevanto finito col divenire scandalose, e quinde rimosse. Tanto che probabilmente i pittori, e in genere gli uomini fino al Caravaggio probabilmente non le vedevano nemmeno.

La terza cosa che ha inventato il Caravaggio è un diaframma (anch'esso luminoso, ma di una luminosità artificiale che appartiene solo alla pittura e non alla realtà) che divide sia lui, l'autore, sia noi, gli spettatori, dai suoi personaggi, dalle sue nature morte, dai suoi paesaggi. Questo diaframma, che traspone le cose dipinte dal Caravaggio in un universo separato, in un certo senso morto, almeno rispetto alla vita e al realismo con cui quelle cose erano state percepite e dipinte, è stato stupendamente spiegato da Roberto Longhi con la supposizione che il Caravaggio dipingesse guardando le sue figure riflesse in uno specchio. Tali figure erano perciò quelle che il Caravaggio aveva realisticamente scelto, negletti garzoni di fruttivendolo, donne del popolo mai prese in considerazione, ecc., e inoltre esse erano immerse in quella luce reale di un'ora quotidiana concreta, con tutto il suo sole e tutta la sua ombra: eppure dentro lo specchio tutto pare come sospeso come a un eccesso di verità, a un eccesso di evidenza, che lo fa sembrare morto.
 


postato da Sergio Davanzo - venerdì 09 ottobre 2009 alle ore 22:22

Nei quadri di Caravaggio un’attenzione particolare è sempre riservata alla luce. Non poteva essere diversamente visto che egli perseguiva una pittura realista. Ma il dato stilistico che egli inventa è l’abolizione dello sfondo per circondare le immagini di oscurità. Ottiene così un effetto molto originale: le sue immagini sembrano sempre apparizioni dal buio. Le figure appaiono grazie a sprazzi di luce: una fiaccola, uno spiraglio di finestra aperta. In questo modo l’immagine che si coglie è solo una parte della realtà: solo quel tanto che la debole illuminazione ci consente di vedere. Il resto rimane avvolto dall’oscurità, ossia dal mistero. È il buio che domina in queste immagini, quasi ad accentuarne la drammaticità. Perché questo buio è una specie di notte calata sul mondo, per assorbirne i lati più gradevoli, e lasciarvi solo paura e terrore.
Il buio è il luogo stesso delle nostre angosce e paure nei confronti di dolori, morte, sofferenze. I quadri di Caravaggio ci riportano proprio a questo territorio: è la pittura più drammatica mai vista fino a quel tempo, e rappresenta inevitabilmente quella oscurità, fatta di inquisizione e terrore, che sembra calata sulle coscienze dopo l’avvento della Controriforma.
 


postato da Sergio Davanzo - venerdì 09 ottobre 2009 alle ore 22:27

Michelangelo Merisi,affronta il problema esistenziale dell’uomo,il suo dramma nella ricerca della verità,una verità non imposta dall’alto. Caravaggio,emette giudizi morali sulla realtà, per mezzo della luce lasciando il resto nell’ombra. Infatti,utilizza la luce in maniera teatrale,i punti luce vengono utilizzati per rappresentare i punti salienti del suo sviluppo narrativo, si occupa di una pittura di genere e analizza la realtà in profondità.

 


postato da Sergio Davanzo - venerdì 09 ottobre 2009 alle ore 22:28

stores.lulu.com/sergio1davanzo


postato da Sergio Davanzo - venerdì 09 ottobre 2009 alle ore 23:26

Trovo quest'opera affascinante!


postato da Mia Roiter - venerdì 09 ottobre 2009 alle ore 23:44

Una matericità molto interessante.


postato da Profondità - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 13:00

Il Suprematismo è un movimento artistico russo creato dal pittore Kazimir Malevic intorno al 1913 e teorizzato dapprima sul manifesto dal 1915 (scritto da Malevic in collaborazione con il poeta Majakovskij), poi nel suo saggio del 1920 Il suprematismo, ovvero il mondo della non rappresentazione. Il Suprematismo fu presentato pubblicamente per la prima volta a Pietrogrado nel 1915, in occasione della mostra: "Seconda esposizione futurista di quadri 0,10 (Zero-dieci).

Malevic sosteneva che l'artista moderno doveva guardare a un'arte finalmente liberata da fini pratici e estetici e lavorare soltanto assecondando una pura sensibilità plastica. Sosteneva quindi che la pittura fino a quel momento non fosse stata altro che la rappresentazione estetica della realtà e che invece il fine dell'artista doveva essere quello di ricercare un percorso che conducesse all'essenza dell'arte: all'arte fine a se stessa.

La parola suprematismo deriva dal pensiero dell'autore: secondo Malevic infatti l'arte astratta sarebbe superiore a quella figurativa dato che, anche se noi in un quadro figurativo vediamo un qualsiasi oggetto o forma vivente, sull'opera non c'è che un solo elemento: il colore, che viene espresso in modo migliore su un dipinto astratto.

Il suprematismo resta legato essenzialmente al nome del suo iniziatore, anche se i riflessi della sua poetica vanno al di là dei dipinti e modelli architettonici dell'artista, pone le basi per l'astrazione radicale.
 


postato da Sergio Davanzo - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 14:06

Ambirei avere questo suo pezzo nella mia collezione. le ricordo che possiedo di suo il "Giardino dalle mele bianche" e il "Sorriso della tartaruga".


postato da Puster - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 14:22

Veramente curioso. E' una rappresentazione della luce molto dura, priva d'incanti, forse è la più realistica considerando i tempi attuali.


postato da Liza - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 15:00

Anche quest'opera m'incute timore.


postato da Dolores Lafuente - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 15:12

Non credo di aver capito bene il concetto di Malevic del Suprematismo. Studierò!


postato da Dok - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 15:45

Mi piacerebbe vederlo in profilo. Immagino ci sia una quantità industriale di materia applicata alla tela!


postato da Kurt - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 16:01

Anche in presenza di un lavoro decisamente drammatico come questo, non rinunci all'ironia: sei unico!


postato da Alex Lavaroni - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 16:58

Una luce che squarcia le tenebre!


postato da Arman - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 17:27

Avevo visto quest'opera esposta in occasione del 25 aprile al Buzz Bar di Monfalcone. Bellissima spiccava fra le 36 opere esposte degli altri artisti. Una matericità incredibile che non credo si possa cogliere appieno da questa foto.


postato da Vanni - sabato 10 ottobre 2009 alle ore 17:49

grazie per i voti ricevuti.......

buona arte

Lunella


postato da Lunella - domenica 11 ottobre 2009 alle ore 01:31

Questo quadro, se posso confessare, mi spaventa. Mi crea un senso di disagio. E' molto bello, sicuramente, ma non vorrei appenderlo nella mia camera da letto.


postato da Rotcko - domenica 11 ottobre 2009 alle ore 22:30

Io credo che non ci siano schemi fissi-
 

Il rapporto con le cose e gli avvenimenti che ci circondano con le sue proiezioni sul futuro, l'artista lo traduce secondo le proprie necessità. Quando anche la denuncia diventa una bufala solo per la visibilità o tendenza, l'artista dovrebbe osservare in primis, cosa realmente 'manca' al tessuto sociale e, se sono le forze primigenie quelle che sono venute a mancare, cerca il recupero attraverso alla propria sensibilità e non gliene può importar di meno delle correnti o la ricerca di tendenza.

Le ricerche le esegue sulla base della propria sensibilità ed esigenza. Sicuramente ha il coraggio anche di andare contro tendenza perché non è detto che quello che serviva in una certa epoca anche in termini di provocazione, possa servire in un'altra, dove tutto , anche la provocazione è diventata strumentale al profitto. Non ho mai visto artisti di popoli repressi esprimersi solo sulla denuncia , ma sicuramente più spesso attraverso il sogno o alle proprie esigenze interiori , unica forma di libertà ancora gestibile : il proprio mondo interiore e le proprie visioni da contrapporre ad un mondo a cui tutto questo è stato negato.

La vera trasgressività dell'artista contemporaneo è il recupero di se stesso e di tutto ciò si è fatto scempio, poetica compresa.

Va da sé che, forse oggi, gli artisti più credibili in toto rimangono i bambini con queste caratteristiche
e gli artisti 'out'.

I primi con un vissuto troppo corto per essere definiti tali in maniera completa e gli altri, emarginati in quanto veramente 'liberi' e quindi non commerciabili e strumentalizzabili, se mai schiavi solo delle loro ossessioni, ma sicuramente non, rispetto alla loro libertà espressiva

Io credo non ci siano confini nell'arte : purché sia arte .

Ognuno usa il veicolo espressivo che più gli è congeniale. Considerando che questo ioArte è interessante proprio per i quesiti che pone per i confronti che dovrebbero arricchire proprio per le diversità di pensiero e non certo per polemica sterile (sempre meglio chiarire nel virtuale:). Credo che, chi usa la materia proprio come "piacere" della materia nella sua fisicità e il "colore" come impasto proprio per ottenere determinate vibrazioni cromatiche, difficilmente userà mai un pantone digitale se la sua ricerca ed esigenza si esprime con quelle caratteristiche ...

Uno può darsi al digitale per altri aspetti altrettanto intriganti, ma sicuramente diversi. Come non credo che sia un 'espressione nuova né la pittura né il digitale anche perché quest'ultimo si usura più velocemente nei programmi che vengono sostituiti con la velocità della luce.

Per quanto riguarda le diverse culture ben vengano, ma ho il sospetto che una cultura che si sviluppa da noi o in Spagna, in America in Bielorussia, Russia o nella profonda Africa , per quanto si facciano contaminare ,non dobbiamo dimenticare che ognuna di loro ha radici profondamente diverse che non si possono sostituire o dimenticare.

 

Dovrebbe essere anche significativo , quanto ci portiamo dentro radici, gusti e quant'altro che ci influenzano nella scelta delle preferenze.
Di solito i lavori preferiti sono quelli che corrispondono ai nostri canoni estetici e di gusto personale, cosa che in arte non dovrebbe mai succedere.

In maniera istintiva può piacere di più un lavoro simile ai nostri gusti personali, ma l'arte potrebbe anche trovarsi in opere che come gusto non rientrano nelle nostre preferenze, ma sicuramente in canoni artistici. Ho la sensazione che questo sia uno sbaglio che facciamo un po' tutti....sia ' perché viene naturale e perché, a volte .dimostra anche quanto siamo presi da noi stessi, senza riuscire ad entrare umilmente nei lavori di altri.
Con tutto il pieno rispetto, per chi fà figurativo "classico"..secondo il mio modesto parere,il massimo per esprimere "il senso della vita, lo stato delle cose, il divenire dell'uomo, oggi", è l'informale, il materico, il figurativo "essenziale" ....usando la materia....tutta la materia,lo scarto, si può rappresentare, ...cosa meglio di un vecchio cartone ingiallito dal tempo, gettato per strada, indifferente a chiunque, può rappresentare la situazione di molti esseri umani del nostro pianeta..non importa se nell'opera non esiste una smorfia sul volto o le mani che sorreggono uno sguardo vuoto....basta vedere quei "rifiuti" per strada...per capire dove è arrivato l'uomo...in un mondo in cui tutto si può abbandonare, distuggere....tanto si "rifà"...no!, si stanno spengendo i valori, i sentimenti, che valgono più dell'oro, giallo o nero che sia....scusate se mi esprimo in questo modo, forse sembrerò arrogante, ma chi mi conosce dal vero...sa che non lo sono...sono solo sanguigno...sincero..."ignorante" artisticamente parlando...ma UOMO!! inteso naturalmente come essere umano...ciao a tutti


 


postato da Sergio Davanzo - martedì 13 ottobre 2009 alle ore 11:14

Chiudiamo la luce

Chiudiamo la luce vuoi?
Non vedremo
le mura, scarne, opache,
la sedia difficile,
il bicchiere d'acqua per dopo,
il letto che conosci,
resteremo noi
e tutto quello che è in noi.
Ma con la luce
il bicchiere, il letto, la sedia
le mura ritornano
e forse non ti amo più.
No, non sono i tuoi capelli spettinati,
il trucco rovinato
e le unghie mangiate
che mi gelano.
No,
è quello che non ho
e vorrei darti.
Il nostro è amore del buio,
dove ogni cosa è contenuta,
la forma è niente,
il calore è colore

 


postato da Sergio Davanzo - martedì 13 ottobre 2009 alle ore 11:55

Di quale umanità?

Cerco le mie radici
affondate non so dove,
conosco solo la sabbia,
mutevole,
senza forme definite
che soffoca lo zoccolo
della mia ragione;
ci sarà lo strato
che mi nutre?

 


postato da Sergio Davanzo - martedì 13 ottobre 2009 alle ore 11:56

Biagio Dradi Maraldi: Una frase corrente, tanto da apparire banale, dice che l'opera di un artista è lo specchio nel quale si riflette la storia stessa della sua vita. È un'identificazione che, espressa in questi termini, può sembrare fin troppo rigida. Vorrei che dicessi in che misura ti senti in accordo con un'affermazione di questo tipo. In altri termini, vorrei che dicessi se la storia della tua pittura la senti anche come storia della tua vita interiore: delle tue passioni e dei tuoi ideali, delle tue angosce e delle tue tensioni, della tua solitudine e del tuo pessimismo...

Alberto Sughi: Sottolineare un nesso molto stretto tra vita e pittura parrebbe dare una patente di autenticità al lavoro dell'artista; ma oltreché riduttiva, finirebbe per essere anche una risposta presuntuosa.

Arrivare fino al profondo del nostro essere è una ricerca troppo difficile; spesso soffriamo proprio perché non riusciamo a conoscerci profondamente. E allora, se non mi conosco abbastanza, come posso dire che i miei quadri mi somigliano, che sono addirit­tura lo specchio della mia vita?.

Sì, è vero, alle volte ho cercato attraverso la pittura di saperne di più delle mie ansietà e delle mie paure. Ma i miei quadri li sento come se fossero un'altra cosa: più den­tro la "loro" storia, che forse non é sempre, indissolubilmente, la storia della mia vita.

Un giorno, appesi alla parete, nei miei quadri si poserà lo sguardo di altre persone. Attraverso la loro sensibilità e la loro cultura, tradurranno in pensiero l'immagine che l'artista ha racchiuso dentro la forma; allora, forse, quei quadri diventeranno lo "specchio" di chi li sa guardare. Ma "specchio" è una parola senza scampo, e non mi piace.

 


postato da Sergio Davanzo - venerdì 16 ottobre 2009 alle ore 19:07

INTERVISTA CON ATTILIO PIERELLI
di Paola Donato
Quando sono iniziati i tuoi rapporti con il mondo dell'arte?

E' cominciato con le lane di vetro e poi con l'alluminio, le prime sculture da appendere.

E i rapporti con la Scuola di Piazza del Popolo?

Ho conosciuto Lo Savio che faceva le reti, i filtri, e probabilmente ho avuto un suggerimento da questa cosa di Lo Savio, un suggerimento penso però con altra intenzione. Questi filtri di Lo Savio non avevano oggetti, erano dei filtri e basta, non c'erano come nelle cose che facevo io in lana di vetro delle superfici in rapporto tra di loro: un quadrato, un rettangolo, una striscia, etc. Quelli di Lo Savio erano soltanto dei filtri di rete metallica a maglia grande e meno grande, di diverso spessore. Successivamente con Lo Savio frequentavo la galleria La Salita, le altre gallerie che c'erano: La Tartaruga, etc. e parlavo senza avere amicizie o contatti stretti con nessuno, ma insomma si chiacchierava.
E così dopo, quando ho fatto le planches aluminium, ho impiegato alcuni anni per farle fino a quando nel '63 ho fatto la mostra. Mi ricordo che c'era una persona che mi aveva parlato di Villa, che era l'opposto, l'antagonista di quello che stavo facendo io, perché pur essendo un uomo di cultura sferica e globale, la sua natura era tendente non alla costruzione ma al caos. Una mentalità caotica, ma che poi in ultimo può pure diventare costruttiva, perché riferendoci alla struttura caotica dell'universo, ci sono delle situazioni caotiche che sono necessarie per mettere in ordine e costruire, probabilmente lui aveva questo modo. Frequentandolo insieme a Franco Angeli e a tutta la schiera di Piazza di Spagna di cui faceva parte il barone Franchetti, e tutte le potenze del tempo e che oggi ci sono ancora, quello che non si vede e non so che fine abbia fatto è il proprietario della galleria La Tartaruga Plinio de Martiis che ha fatto un gran lavoro per l'informale che aveva una forte carica degenerativa, il contrario di quello che io immagino di aver fatto, una ricerca costruttiva.

In quegli anni la Op-Art si proponeva una ricerca costruttiva.

Ma l'Optical Art, in realtà, non aveva questa intenzione, era soltanto una espressione superficiale di alcuni artisti che non avevano basi scientifiche per poter fare questo. Era soltanto il piacere di vedere alcuni fenomeni ottici mettendo assieme il simbolo del barbiere ed altre cose analoghe che poi si possono sviluppare e prendere diversi aspetti tecnici e diverse forme etc. fino ad arrivare anche a qualcosa di bello, di fatto bene, di tecnicamente risolto, etc. Però non si ponevano il tema e la risoluzione di certe questioni cosmologiche, non c'era l'esigenza di andare oltre questo aspetto. In parte era anche il problema dei gruppi: i gruppi avevano questa preponderanza della tecnica esecutiva sul significato, infatti quando si chiedeva cosa volessero intendere, rispondevano fino ad un certo punto, poi è quello che vedi, dicevano.

Quindi anche per questo la tua mancata adesione ad un gruppo?

Assolutamente la stessa cosa che era avvenuta per la politica, quando uno si accorge che si formano dei circoli, dei clans, sono questioni che si formano spontaneamente, non c'è all'inizio voglia di lucro o prevaricazione, avviene, e poi, però, dopo le conseguenze invece diventano fatti gravissimi, fino alle associazioni mafiose.

La prima mostra?

Emilio Villa mi ha fatto questo testo meraviglioso. In quegli anni lo scandalo era l'informale, ma scandalizzava anche quello che faceva Lo Savio, quello che facevo io. Erano gli anni creativi della seconda metà del secolo.

L'informale stava per essere superato?

Poi andò avanti per molti altri anni, ma quello che doveva dire l'aveva già detto, e c'erano grandi occasioni che alcuni hanno saputo cogliere, prendere al volo i treni e altri no. Dipende dalla natura degli operatori e dalla sensibilità di autogestione, o dalla fortuna………da un sacco di cose. Questa è stata la prima mostra alla Galleria S. Marco.

Poi sono nati i rapporti con l'Obelisco…

Nel frattempo ero passato all'acciaio speculare. Perché quello che mi stava a cuore di dire, era mettere in rilievo la mia idea di spazio. Nello spazio esterno, quello che non finisce mai, o che finisce ma non sappiamo dove, è pieno di vita indubbiamente, ma ne sappiamo pochissimo, e poi dal punto cosmologico, nel fondo dei quadri di lana di vetro c'è uno spazio omogeneo più o meno dove praticamente non c'è niente, però c'è, perché è come nella realtà del nostro universo o di tutti gli universi c'è qualcosa e una quantità enorme di cose e pare che le comete distribuiscano nello spazio frammenti di loro stesse e generano il formarsi di qualcosa che può diventare una stella, una galassia o chissà che, o la vita. E così specie a quel tempo non c'era questa coscienza precisa, però l'intuizione in qualche modo faceva presupporre che nello spazio così esterno, enorme e infinito qualcosa ci doveva essere. Quello che invece veniva rappresentato dai rettangoli, dalle strisce, dai quadrati che venivano sovrapposti, allora su quelle cose lì sappiamo tutto, sulle loro relazioni che ci permettono di definirli. Però io ci vedevo tutto questo in quei quadri, e mi sembrava di aver raggiunto un risultato importante. Altrettanto con le superfici di alluminio: mettevo in relazione dei piccoli oggetti di alluminio su un fondo omogeneo pieno di vita, ma che sembrava non ci fosse nulla. Era per me una grande soddisfazione, ma la gente non ci vedeva granché e poi le modulazioni di queste superfici erano anche importanti, perché si riferivano alla musica etc. cioè erano delle superfici di alluminio modulate, facevo dei rilievi regolari e longitudinali, in verticale, a gradazione e di varie dimensioni , e questi potevano essere dei toni musicali, seguivano una frequenza musicale. Si vede che le cose stanno nell'aria, e Cage le ha captate facendo una sua scrittura musicale personale, e altri tentarono di fare cose analoghe.
Ma io non ero al corrente di queste esperienze musicali, erano una questione istintiva, naturale, perché sempre nel fondo credo di essere come tanti altri, una specie di filtro che percepisce certe cose e le realizza. Sulla natura di queste cose non sappiamo quasi niente, però è importante trovarcisi dentro. È bello, è faticoso, ti porta alla disperazione. Lo Savio si è suicidato, poi altri in America. Queste ricerche conducono alla disperazione effettivamente. Questi artisti americani di origine europea, gente che aveva vissuto a Roma e in Europa, che abbiamo conosciuto e frequentato, De Kooning e altri che erano diventati anche romanacci, poi andavano a casa e facevano l'arte gestuale, che è nata qui, alla Tartaruga, Piazza del Popolo, Via del Babuino. In questo senso Turcato fu un grande maestro per loro, poi naturalmente lui era un europeo, un veneziano, una maschera meravigliosa. Era sempre una avventura un discorso con lui, divertentissimo, etc. ma non sentiva la necessità di fare queste cose all'americana, però il genio era quello. Cioè per uno che vive in America aver percepito e succhiato questi semi, questi suggerimenti, non era difficile poi andare a casa, prendere la scopa e fare queste cose enormi, bellissime e importanti, ma nate qui.

Torniamo al passaggio tra le Planches Aluminium e l'acciaio inox.

Quando ho iniziato ad inserire l'acciaio dentro all'alluminio, poi piano piano l'acciaio mi ha detto: guarda che sono io l'elemento principale. Così ho cominciato a fare queste superfici modulate con i tagli così da parete, i cilindri ……allora è venuto fuori che la specularità determinava un ampliamento dello spazio molto importante per me, che una superficie speculare a parete o anche una scultura verticale, aveva in se la capacità infinita di cambiare l'aspetto di qualsiasi piccolo movimento, di cambiare l'ambiente, di avere una sua vita vera e propria, senza sosta e senza possibilità di uscirne, drammaticamente e disperatamente perenne.

La scelta dello specchio è la scelta di includere l'osservatore? In quegli anni il pubblico era importantissimo.

Certo. Oggi in questi anni vedo queste mostre scarne, cosa si può pensare o fare. Da quale stato d'animo scaturiscono queste mostre. Io avevo la necessità di essere coerente in tempo reale con ciò che stava succedendo e anticipare anche un po'…Penso che ciò che ho fatto si può continuare…

I rapporti con l'Obelisco e Gasparo Del Corso?

La mostra alla S. Marco è andata molto bene. Subito dopo, con Gino Marotta: è uno scultore estrosissimo, molto simpatico, una persona straordinaria, se ne andava in giro in Lotus, Maserati e Ferrari. Riusciva a fare i lavori più incredibili. Lui mi ha assecondato per fare la mostra alla Galleria Antares a Via del Corso, che non c'è più, la seconda mostra che ho fatto, e portai quasi tutte sculture in acciaio speculare. Lì pure ci fu un interesse notevolissimo per il mio lavoro tra coloro che sentono l'erba crescere e percepiscono per primi le vicende che si sviluppano. Ecco, e questa è stata una bella esperienza. Poi Emilio Villa mi presentò Topazia Alliata che aveva una galleria sull'Isola Tiberina. Lei è una titolata, madre di Dacia Maraini e moglie di Fosco Maraini. Si era mezza rovinata economicamente per tenere in piedi una galleria all'Isola Tiberina alla quale facevano capo Emilio Villa ed anche Colla e poi c'era questo scultore che lavorava con la ceramica, Leoncillo, ed altri che stavano lì e avevano una rivista che si chiamava "Appia", una rivista importante a quel tempo, su cui pubblicavano Burri e altri… Topazia Alliata era amica di Feltrinelli, che nelle tensioni sfociate poi in lotta continua etc… faceva il rivoluzionario. Questa prima libreria della Feltrinelli a Roma in Via del Babuino fu inaugurata con pittori, scultori, musicisti e poeti. C'era il gruppo 63: Giuliani, Sanguinetti, Eco. Io fui invitato e portai questa scultura, due lastre di acciaio verticali una vicina all'altra per la schiena, e un quadro, da parete, sempre di acciaio speculare. A quel tempo la gente andava a vedere le mostre e tra le altre persone c'era Gasparo Del Corso, il proprietario della galleria l'Obelisco ed il suo direttore Cesare Bellici. Io non c'ero, ma Gasparo parlò con mia moglie e poi andai in Galleria e facemmo il contratto, che è durato fino a quando non ha chiuso.

Quando ha chiuso?

Nel '74 o '75. Prima è morta Irene Brin, poi ha tentato di trasferirsi in America, perché in Italia il mercato dell'arte era stato preso in mano dalla politica. I politici si erano appropriati del mercato dell'arte, e poi successivamente è peggiorata la situazione. Allora pensavano di chiudere e vendere in America, però non erano abbastanza agguerriti, così chiusero. Gasparo Del Corso tornò in Europa. Lui passava la maggior parte del tempo ad Hammamet. Questo nostro rapporto è andato avanti benissimo, e si è aperto all'America etc…

I rapporti con la Zabrisky Gallery sono stati tenuti tramite l'Obelisco?

Sì, e quando Virginia Zabrisky mi ha chiesto di lasciare l'Obelisco ed andare con lei, io non ho voluto accettare, ma l'Obelisco mi aveva sempre lasciato libero.

L'Obelisco era legata a qualche critico in particolare ?

Sì, aveva tanti critici: Maurizio Fagiolo Dell'Arco, Menna è entrato successivamente, i critici di Villoresi e di Vespignani, Arturo Bovi. I critici dell'epoca erano tutti in buoni rapporti con l'Obelisco.

E la Galleria garantiva ai suoi artisti l'indipendenza?

Assoluta. Finiti i rapporti con loro ed essendo ormai strumentalizzato il mercato, non ho più trovato la strada, perché avevo rifiutato la politica, ed anche il clan.

E le prime sculture sonore?

Quando abitavo in Via Revere, nella cantina avevo il mio studio e le cose che facevo in officina le portavo là dentro. La sera scendevo e i rumori in questo ambiente non molto grande riverberavano l'acciaio e si sentiva la voce……

Che anni erano?

Circa il '65. Avevo un apparecchio che vibrava, una volta l'ho appoggiato sulla superficie d'acciaio ed ha fatto un bel suono. Siccome la frequenza era bassa, faceva anche qualche rumore spurio, però l'acciaio rispondeva molto bene. Poi sono andato a La Sapienza, da un professore di acustica, ho comperato un libro di acustica e ho capito più o meno come funziona. Già avevo conosciuto un tecnico del suono. Quando ho iniziato ad interessarmi al suono dell'acciaio l'ho chiamato e gli ho detto che avevo bisogno di un attrezzo per far suonare l'acciaio, e insieme abbiamo elaborato una cosa. Io ero assolutamente digiuno dell'elettronica a valvole. Nel '67 questo apparecchio l'ho applicato ad una scultura che ho e l'ho portata alla Galleria d'Arte Moderna per i concerti con Nuova Consonanza.

I rapporti con Nuova Consonanza?

Ancora vivono. Siamo sempre stati buoni amici: Bartolotti, Jewrsky, Sciarrino, Guaccero, Bussotti, Gelmetti …………

Come è nata l'amicizia con Nuova Consonanza?

Tramite Michiko Hirayama, perché lei ogni persona che arrivava me la portava a casa. Lei viveva insieme a Gelmetti. Aveva la passione per la scultura e mi portò a casa tutti i musicisti che sono transitati a Roma dal '60 al '78. Greci, giapponesi, americani, canadesi, li ho conosciuti tutti, e con tutti abbiamo fatto esperienze su questa sonorità dell'acciaio. Ho conosciuto Ketof, che aveva inventato il generatore di frequenze elettroniche (Sinket) con il quale sono stati fatti tanti concerti. Un ingegnere, la moglie musicologa, e lui lo costruì nella stessa officina dove lavoravo io.

L'esperienza del suono e poco dopo quella del video…

C'era stata l'esperienza con la telecamera Sony in bianco e nero, e con la quale ho fatto la mostra Videobelisco (1971). Questa televisione invadente e acritica, tu non puoi far niente di fronte alla TV, sei costretto a subire in modo succube. Poi c'era l'aspetto estetico, che rispecchiandosi su una scultura con una forma, un principio di singolarità, quei punti dove arriva la piegatura che poi finisce e diventa grande il semicerchio, ad ogni modo se si mette di fronte l'apparecchio televisivo dentro la scultura avviene l'ira di Dio, perché viene tutto deformato, ed è una forma critica, se inserisci l'audio e lo fai parlare attraverso l'acciaio non senti nessuna parola decifrabile ma senti solo delle frequenze così e delle immagini che sono divertenti. Era questo il concetto.

Una possibilità d'intervento quindi, anche…

Una possibilità di ironizzare la questione e di partecipare in qualche modo (e che voglio rifare a Bomarzo).

Nell'uso degli specchi c'è una forte componente di casualità…

Non è possibile determinare ciò che succederà. Non voglio fare come Burri che diceva, dei cretti che faceva, di sapere perfettamente cosa sarebbe venuto fuori…

La casualità è una scelta?

Certo è alla base della vita…


 


postato da Sergio Davanzo - venerdì 16 ottobre 2009 alle ore 19:24

Mi piace molto questo finale:

"Un giorno, appesi alla parete, nei miei quadri si poserà lo sguardo di altre persone. Attraverso la loro sensibilità e la loro cultura, tradurranno in pensiero l'immagine che l'artista ha racchiuso dentro la forma; allora, forse, quei quadri diventeranno lo "specchio" di chi li sa guardare. Ma "specchio" è una parola senza scampo, e non mi piace."


postato da Vanni - sabato 17 ottobre 2009 alle ore 00:03

Questo tuo lavoro mi fa riflettere molto. Non posso affermare che mi piaccia, però mi cattura. Complimenti.


postato da Cesare - lunedì 19 ottobre 2009 alle ore 00:12

"Perché quello che mi stava a cuore di dire, era mettere in rilievo la mia idea di spazio. Nello spazio esterno, quello che non finisce mai, o che finisce ma non sappiamo dove, è pieno di vita indubbiamente, ma ne sappiamo pochissimo,.."

Hai fatto molto bene a postare questa intervista, grazie.


postato da Berta - giovedì 29 ottobre 2009 alle ore 18:39

Complimenti oltre che per l'opera anche per l'abbinamento al CARAVAGGIO


postato da alfonso palma - mercoledì 11 novembre 2009 alle ore 18:37

interessante questo connubio che idealmente hai fatto tra un naturalista come Caravaggio e il suprematismo. Complimenti vivi per questa


postato da Valentina Majer - mercoledì 18 novembre 2009 alle ore 14:35

His name is Sergio Davanzo. Strong in expressing his thoughts but tender in cuddling his dreams, he shows you unsuspected and unexpected aspects of his inner self. Sometimes he reveals them slowly, step by step; sometimes he shows them off abruptly, with a touch of challenging scoff. He paints. He paints because of an unsolved mixture of reasons. He paints because he needs to. Because he wants to. He paints to play. He paints because he has to paint.

Several of his works are the product of a deep need to communicate. The need to go beyond the limits of human words, beyond time and space, beyond conventional shapes with the aim of creating new and better ones, more intensely beautiful, giving thus voice to his inner and more complex thoughts.

Other works issue from Davanzo’s mere, instinctive wish to let himself go to the poetical evocation of images and feelings he has seen and lived. This inevitably pursues the connivance of his spectators, who can see and perceive his same sensations, deeply feel them and, by feeling, revive them. The result is an amazing range of ways and synaesthetical contaminations, both of colour and matter.

In Davanzo’s modus operandi often a single idea develops into a theme. It expands itself, defining autonomously its own leit motives. They are varied and widened, offered in their most flattering nuances. The original idea then swells to its utmost and, finally exhausted, it blows up. It is a definite resolution. Therefore Davanzo’s works, which follow a common vein until it is exhausted, can mainly be contextualized in groups. But, once he has finished with a vein of inspiration, sometimes the painter has already found in its ashes the beginning of several new ones. Sometimes he would rather wait before letting them catch his instinct and his paint-brush.

This is the process of painting for Sergio Davanzo. His subjects are various and different. He wants to tell as much as possible. The faces, the voices of past and present time, the places which have seen him growing both as a man and as an artist. His dog. His family. Those who have gone. Those who still have to come. A wrinkle on a forehead. The hissing of a lathe in a work shop. A minimal kaleidoscope of images, epiphanic moments which he fixes on his canvas. And which, if necessary, he moves, as he usually says “to the space”.

Certainly the imaginative titles he gives to his paintings are part of his seriocomic way of living and conceiving one’s necessities. They are delicious, often sharply ironic, and at first they astonish you, to let you eventually deal with a wake of reflection, whetting you as the back-taste of rum in a just baked cake, the recipe for which has been written and performed by Sergio Davanzo just for you.

Prof dott Maria Sole Politti
 


postato da Sergio Davanzo - lunedì 23 novembre 2009 alle ore 19:38

"Le tele di Davanzo vibrano, si impongono con lo stridore delle pennellate, con le barricate cromatiche da cui fuoriescono filamenti elettrici che guizzano e avvolgono, creando una fitta e mutevole rete di energia. Nelle sue opere istinto e ragione rinunciano all'eterna lotta, per dar vita ad un dialogo serrato: il colore si tende nella spontaneità del gesto, si difende entro grumi di materia, si assottiglia ed incede leggero frammentandosi secondo ritmi musicali. Viene impastoiato, fatto fluire e nuovamente convogliato, cristallizzato e gocciolato, alleggerito e spinto oltre i confini del supporto per cercare nuove espressioni comunicative."

Prof. Lorella Coloni
 


postato da Sergio Davanzo - lunedì 23 novembre 2009 alle ore 19:44

" Las lonas de Davanzo envían vibraciones. Ellos se imponen con el chillar del golpes de pincel, con las barricadas cromáticas de lo cual evitan filamentos eléctricos que tiemblan y ellos enrollan la creación de un dolor agudo y la red mutable de energía. En su instinto de trabajos y razón abdican la lucha eterna para dar la vida a un diálogo cerrado: el color se extiende en la espontaneidad del gesto, esto se defiende en los grupos de material, esto cultiva incede delgado(fino) y ligero(de luz) la fragmentación sí mismo según ritmos musicales. Es encadenado, hecho para fluir y otra vez llevado, cristalizado y goteó, aliviado e inclinó sobre los confinamientos del apoyo a buscar nuevas expresiones comunicativas. "

Prof Lorella Coloni
 


postato da Sergio Davanzo - lunedì 23 novembre 2009 alle ore 19:52

C’è una prometeica forza nelle opere di Sergio Davanzo che riconduce, con la certezza del segno e lo schiaffo del colore, ad un confronto con la realtà che non conosce compromessi o debolezze.
L’artista non abbassa lo sguardo e davanti all’esistenza egli si assume il diritto di dichiarare la verità. Lo fa attraverso un linguaggio visivo essenziale, sintetico, corrosivo, violento, titanico, provocatore. Usa la titolazione dei suoi quadri come dei tazebao: sono verdetti che illuminano, parole che possono essere incipit quanto sentenza lapidaria su un argomento che la tela sintetizza in linee di immediata intuizione, con un uso dirompente dell’elemento cromatico, con tinte che acquistano voce. Davanzo riesce a far riecheggiare nel movimento dei suoi quadri le vibranti intensità del paradosso creativo, in bilico tra ragione e gesto puro ed istintivo, folgorazioni che sono rivelazioni e universalità
 

Prof Fabio Favretto
 


postato da Sergio Davanzo - lunedì 23 novembre 2009 alle ore 23:59

Io non mi definisco “pittore” ma scrittore di emozioni in pittura.
Io credo che si possa definire pittura “il fissare con i colori la luce che la nostra anima getta sulle cose”.


Questo lo hai detto tu!... ma se ti definiresti "un pittore" ed osservando questa tua opera... dove saresti, allora?

 


postato da Mabo - martedì 24 novembre 2009 alle ore 01:06

Una parola sola: Fantastico!


postato da 8 - mercoledì 25 novembre 2009 alle ore 12:20

Grande sintesi narrativa.


postato da Gio4x4fra - martedì 30 novembre 2010 alle ore 13:05

Spiritoso ed originale.


postato da Pony - giovedì 02 dicembre 2010 alle ore 15:05

 ...il mondo cambia e anche la luce non è più la stessa...l'importante è che una certa luce continui ad esserci...non c'è niente di peggio che il buio dell'ignoranza!!!


postato da Marcio - giovedì 19 maggio 2011 alle ore 11:25

Grande ironia in questo materico che merita attenzione. Vorrei vederlo dal vivo.


postato da Berta - domenica 31 luglio 2011 alle ore 19:59

Mi piace moltissimo la tua ironia.


postato da Lu - domenica 21 agosto 2011 alle ore 13:16

Per poter commentare le opere devi essere un utente di IoArte!

Se sei un utente iscritto a IoArte devi prima effettuare il login!
Altrimenti iscriviti a IoArte, l'iscrizione è veloce e completamente gratuita.

Tutte le opere di Sergio Davanzo

  • Calendario 2013
  • Ho dato fondo (parziale)
  • feelings & feelings (frammento)
  • Omaggio ai tubisti
  • Strada di Bagdad con mimosa
  • Manhattan vista dal Bronx
  • volo radente
  • Tributo a Gaudì (frammento)(vedere il link postato nei commenti)
  • KRAKEN
  • Omaggio ai Tubisti (Pressfitting) alias "Quando Dio spartiva le tette...io ero in bagno..."
  • Non è la luce del Merisi...ma in tempi di crisi....
  • La mia vita è un lungo lato di Bolina! ( ...ci sarà mai un lato in poppa con tangone...& tanga?)
  • Il futuro è roseo, il presente...un po' meno...
  • Vedo smerciare miele di vipera, agito braccia di carta che il vento disperde.
  • Omaggio ai Tubisti (Aisi 304)
  • Il Delinquente (Lulu.com Editore)
  • CROSSING (Lulu.com editore)
  • Pensavo fossi morto....
  • LA MAFIA E' SOLAMENTE UN INSETTO: PUOI SCHIACCIARLA!
  • Questa è una società che macina tutti i valori!
  • Ciao
  • Cattredale Unica nello Spazio
  • Calendario 2010 Gennaio
  • Calendario 2010 Marzo
  • Calendario 2010 Ottobre
  • Calendario 2010 Dicembre
  • Calendario 2010 (Lulu.com) http://www.lulu.com/product/calendario/2010-by-sergio-davanzo/5949551
  • AUGURI....& che s'inizi ad intravvedere...il positivo!
  • Acqua Sporca
  • Solo Macchie?
  • In  /  ES    presso
  • COFFE TIME
  • Tributo a Jackson Pollock
  • Metropoli (serie Acqua Sporca)
  • COFFE TIME
  • Nel 2010 non si può
  • In  /  ES    presso
Banner pubblicitari
Sostengono IoArte
Siti Amici